Vai al contenuto

Il ruolo delle donne

28 luglio 2011

Nel fare un discorso sul modo in cui si struttura il dominio di genere è importante sottolineare come l’attenzione non debba essere concentrata solamente  sul modo in cui l’uomo perpetua questo dominio. Ma anche su come la donne stessa si faccia portatrice delle stesse logiche pur essendone essa stessa la vittima. Ciò non significa attribuire alle donne la responsabilità della loro stessa oppressione ma significa semplicemente ammettere che questa struttura di potere non può esercitarsi senza il contributo di coloro che la subiscono e che lo subiscono “soltanto perché lo costruiscono come tale”. Questa costruzione che le donne attuano e che conferma quella stessa struttura riproducendola non è però un atto intellettuale, cosciente e libero di un soggetto isolato. Si tratta piuttosto “dell’effetto di un potere, inscritto durevolmente nel corpo dei dominati sotto forma di schemi di percezione e di disposizioni che rendono sensibili a certe manifestazioni simboliche del potere”. Così Bourdieu, che conclude “ci si può attendere una rottura del rapporto di complicità che le vittime del dominio stabiliscono con i dominanti solo da una trasformazione radicale delle condizioni sociali di produzione delle disposizioni che portano i dominati ad assumere sui dominanti e su se stessi il punto di vista dei dominanti”  (Il dominio maschile, p. 53).

In questo senso, l’attenzione al ruolo delle donne comporta la consapevolezza che è anche nei nostri gesti e comportamenti, non solo nel nostro pensare ma proprio nel modo di agire, che si perpetua questo stesso sistema. Non si tratterà qui di conoscerne solamente le logiche, con un atto appunto intellettuale, ma di mettere in campo una trasformazione dei nostri modi di essere e di agire che anziché confermare quel sistema lo mini alla base, ovvero nella sua possibilità di riprodursi all’infinito per opera degli stessi soggetti coinvolti.

33 commenti
  1. paola permalink
    28 luglio 2011 10:06

    Bellissimo post Ilaria, più chiaro di così non si poteva dire, ebbravo Bordieux, però questa formula “trasformazione radicale delle condizioni sociali di produzione delle disposizioni che portano” mi dici come si mette in atto? per automatismo della “Storia”? per un moto di consapevolezza dei dominati? Insomma sto scherzando sul formulario con cui si esprime, ma condivido il contenuto interpretativo.

    • Ilaria Durigon permalink*
      28 luglio 2011 15:16

      In realtà credo che lui intenda dire che non basta la consapevolezza, non basta “sapere” e “conoscere” il sistema di dominazione. Non si tratta di prendere semplicemente coscienza. Si tratta proprio di agire in modo diverso. Dove per esso si intendono dalle più piccole alle più grandi cose. Per esempio egli mostra come alcuni atteggiamenti delle donne siano il prodotto di quel sistema: il modo in cui ci si siede, si parla, ci si veste. E anche la cura per la casa, come per il corpo, l’attenzione all’estetica in senso ampio. Tutto ciò per dire che tutte queste cose, riguardano dei comportamenti in cui le donne stesse si riproducono non come soggetti, ma come oggetti.

  2. Paolo1984 permalink
    29 luglio 2011 14:31

    vuoi dire che se una donna parla e/o si veste in un modo è “libera” ma se lo fa in un altro non è libera davvero ed è complice inconsapevole del dominio maschile? Non mi convince del tutto.
    Penso che per rendere effettiva la libertà delle donne bisogna rendere effettiva l’uguaglianza tramite il potenziamento del welfare, sostegno all’occupazione femminile, misure che aiutino a conciliare lavoro e famiglia, congedi obbligatori pure per i lavoratori padri e non dicendo “se vivi il tuo corpo in questo modo sei libera invece se lo vivi in quest’altro no”
    credo anche che la cura del proprio aspetto nelle modalità che preferiamo (noi non abbiamo un corpo noi siamo anche il corpo che abbiamo) senza esserne ossessionati, ovviamente, sia importante per avere un rapporto più sereno con se stessi e col prossimo e vale per entrambi i sessi

    • Laura Capuzzo permalink*
      29 luglio 2011 16:04

      Caro Paolo1984, secondo me non hai capito molto bene. Mi sembra ovvio che sono necessarie e più che auspicabili le misure che tu indichi, ma il discorso del post è un po’ diverso. Credo che l’idea sia che per cambiare veramente le cose è necessario anche modificare i comportamenti personali che spesso sono inconsapevolmente legati proprio a quella realtà che noi stessi vogliamo cambiare. Si tratta credo di un’assunzione di responsabilità: se io combatto contro gli stereotipi sessisti, è evidente che poi non esco vestita come jessica rabbit (è un esempio scemo, ma cerca di capire quello che intendo/e se rispondi non voglio considerazioni sul cinema per favore). Credo poi che la mia posizione sia un po’ diversa da quella di Ilaria, io credo che (uso sempre l’esempio scemo) posso eccome uscire vestita da Jessica Rabbit se voglio, nel momento in cui sono consapevole del fatto che uscire in questo modo significa pormi per esempio come un oggetto sessuale. Tuttavia, mi rendo conto che se esco vestita così perpetuo uno stereotipo o un comportamento che asseconda lo status quo e non lo cambia.
      Quello che il post intende dire credo è che non basta sapere che c’è un problema, bisogna agire per risolverlo. Ed è questa la parte difficile da mettere in atto. Il post tratta il problema per così dire in modo teorico e astratto, non rispetto alle misure concrete e legislative che servono per risolvere molti dei problemi che abbiamo.

      • Paolo1984 permalink
        29 luglio 2011 18:01

        io invece credo che a forza di teorizzare e astrarre si finisce per giudicare i comportamenti personali e si perde di vista la concretezza. Se una donna adulta (e presumo in grado di badare a se stessa e consapevole del proprio corpo e di come ci si può raccontare attraverso di esso) è vestita da Jessica Rabbit avrà le sue buone ragioni (si sente a suo agio così, sta andando ad una serata galante, entrambe le cose..non sta a noi sindacare sopratutto se non conosciamo personalmente la donna in questione), certo c’è luogo e luogo: se sei un’insegnante non ti vesti per andare a scuola come se dovessi andare ad una festa e viceversa ma questo è ovvio. Personalmente mi hanno insegnato che, nei limiti imposti dalle circostanze e dal luogo in cui siamo o in cui ci stiamo recando ci si può vestire come si vuole in pubblico e non mi permetterei di giudicare una persona più o meno libera a seconda di quanta pelle scopre, una donna maggiorenne che decide di vestirsi in una maniera che mette in risalto il suo fisico, la sua bellezza fisica (posto che si può essere belle e persino sexy anche senza vestirsi come Jessica Rabbit) sta agendo nel suo pieno diritto, e il fatto di voler mettere in risalto la propria fisicità non autorizza chi ci incontra a sminuirci come esseri umani.
        Alla fine è questione di percezione, c’è chi vede una vestita in maniera sexy e pensa “si è messa in tiro per gli uomini, serva e complice del patriarcato!” (e tralascio il maschilista che penserà semplicemente “troia”) io invece penso “si è messa in tiro per stare bene con se stessa e pure con gli altri, magari nella comitiva c’è un uomo che le piace chissà magari pure lui si è messo in tiro per lei o per un’altra comunque è un suo diritto”

  3. laura permalink
    1 agosto 2011 13:28

    Sono anch’io convinta che la sola consapevolezza non basti a cambiare la realtà dei fatti. Certo, senza di essa non ci si può aspettare alcun cambiamento (mancherebbe la prospettiva necessaria al raggiungimento dell’obiettivo) ma delle volte funge persino al contrario di quanto ci si aspetterebbe, se dilatata, ad esempio, la sua imponenza può addirittura scoraggiare i tentativi di superamento degli ostacoli. Occorre agire. La prima azione è quella di demistificare di volta in volta ciò che si presenta, per l’appunto, come libera scelta e invece è soltanto uno dei tanti comportamenti consentiti, incoraggiati e determinati dall’adesione alle leggi patriarcali. Non c’è alcuna libertà nel vestirsi secondo i dettami del patriarca perché ci si abbiglia soltanto per compiacere i suoi gusti e i suoi gusti sono fondati sull’idea del dominio di un sesso sull’altro.
    Quindi vestiamoci investigando il vero agio ( e il vero bello) per noi e allontaniamo dalla nostra coscienza ciò che ci sottopone all’idea che il maschile patriarcale ha di noi. Non esistono vie di mezzo, occorre saperlo e non c’è niente di misterioso a determinare l’eros: il mistero è invenzione maschile, di quei maschi che non sanno avvertire la differenza femminile quale fonte e occasione di piacere reciproco ma che arrivano al piacere solo e soltanto in condizioni di esercizio del dominio.
    Agire una volta non basta, bisogna utilizzare la consapevolezza per orientare i nostri comportamenti, raffinare il nostro gusto, rifiutare ciò che non ci riguarda. Ogni volta, tutte le volte. E basta con le mistificazioni.

    • Ilaria Durigon permalink*
      1 agosto 2011 14:47

      Grazie del contributo Laura!Hai colto in pieno il senso del post 🙂

    • Margherita permalink
      5 agosto 2011 14:57

      Grazie Laura.DAVVERO.

      • donatella permalink
        6 agosto 2011 07:47

        come già segnalato alle responsabili del blog, per errore (scrivevo da un pc non mio in cui il nome era già impostato)mi è partito un commento con il nome di Laura. Lo preciso per tutte e tutti, per coloro che si riconoscono nelle mie parole e per chi non vi si riconosce e anche per indicare una continuità per i commenti postati correttamente a mio nome.
        Donatella

        • paola permalink
          8 agosto 2011 20:22

          e allora grazie donatella 🙂

  4. paola permalink
    1 agosto 2011 18:04

    grazie Laura, anche da parte mia 🙂

  5. Paolo1984 permalink
    1 agosto 2011 22:38

    Ok, a me basta che una donna possa vestirsi come crede senza subire predicozzi da una parte o dall’altra

  6. donatella permalink
    1 agosto 2011 22:52

    La libertà non è MAI frutto di semplificazioni.

  7. donatella permalink
    2 agosto 2011 09:22

    Sono parzialmente d’accordo con Bourdieu, di più con il senso del post raccolto nella sua conclusione. E naturalmente in totale disaccordo, riga dopo riga, con quanto afferma Paolo 1984, il quale, con o senza cinema, propone qui costantemente una visione fuorviante. Ciò malgrado le continue precisazioni rese necessarie da un’insistenza a dir poco impressionante, oltre che molto fastidiosa.
    Proviamo a restare in ciò che ci è utile e necessario , anche se veniamo pesantemente interferite.
    Se è vero, come lo è, che le condizioni materiali incidono molto sulla libertà, è ancora più vero che la libertà non dipende dalla quantità di strumenti e mezzi, come ricordava Muraro già negli anni 90 essendo la libertà una condizione interiore che permette di fruire di diritti e mezzi, in assenza della quale quegli strumenti e quei mezzi possono cadere sotto interpretazioni che vanificano la ricerca di libertà che si riprometterebbero di consegnare. Penso all’idea di riempire i consultori di attivisti animati in senso contrario all’autodeterminazione. O al fatto che, visto che ci sono le possibilità, perché non fare un figlio? Senza interrogarsi sul fatto se per la propria vita si vuole, oppure no, incarnare la condizione di madre.
    Senza andare lontano vi testimonio l’alternarsi di due coppie che si sono avvicendate nell’appartamento sopra al mio in cui entrambe le giovani madri hanno vissuto in totale solitudine la depressione post partum, una con esiti tragici e l’altra non so ancora ma la sento singhiozzare troppo spesso per considerare accettabile di vivere così. Per non parlare dello svuotarsi del mio stesso palazzo a causa delle separazioni delle giovani coppie subito dopo la nascita di figli per tornare a vivere con i rispettivi genitori e in nessun caso, vi assicuro, per motivi legati alla precarietà lavorativa. Parliamo infatti di giovani ricchi senza alcun bisogno di reddito da lavoro (e senza alcuna ricerca in tal senso), o di giovani con un lavoro già stabile e redditizio che ha consentito l’acquisto di un appartamento in una zona residenziale di buon livello, cosa che io mi sono potuta consentire solo dopo una vita di lavoro. Voglio dire che il welfare è un dovere della società, quando quella stessa società riesce a produrlo, ma non è il welfare da solo a poter garantire un bel niente in termini di vera autonomia o di senso corretto e sano della dipendenza.
    Il problema allora, a mio avviso, è uno e consiste nella necessità di ricercare le ragioni per cui il conformismo ha ripreso a produrre tanta infelicità. Per cui ritengo che la presenza di welfare ma anche dell’esistenza di quei quattro diritti a tutela della maternità e poco altro, hanno in realtà contribuito a performare modelli che risultano essere violenti nei confronti degli individui che li incarnano. Avere a disposizione mezzi senza che nessuno si preoccupi di formare le coscienze (alla libertà vera) equivale ad uno spreco che a livello di semplici cittadini produce dispersione di risorse e generazione di infelicità, a livello di casta dà luogo a ciò che oramai abbiamo ben presente anche rispetto alla povertà nel mondo cui la ricchezza di alcuni, troppi, corrisponde.
    E’ solo il senso, il sentimento della responsabilità verso se stessi e verso la comunità a dare libertà per cui penso anch’io che vestirsi secondo dettami conformistici sia simbolicamente e poi materialmente molto pericoloso perché testimonia un’assenza di responsabilità che non è solo un vuoto ma un pieno di altro. Altro che significa sfruttamento, povertà, consumismo e consumo di sé, vendita, autorizzazione simbolica a tutto questo.
    A Bourdieau vorrei dire che la rottura del rapporto di complicità con chi tenta di dominarci non avviene mai “per legge”, basti pensare all’obrobio normativo del congedo obbligatorio per i padri che rischia fortemente di tradursi in un ulteriore costo sociale che non possiamo sicuramente permetterci, che non garantisce affatto maggiore libertà femminile e che richiederà controlli immani per la sua corretta applicazione: senza una coscienza, che non vedo, la parità non è un prodotto della consapevolezza ma di istanze rivendicatorie (che non servono quasi a niente se non a peggiorare in alcuni, numerosissimi casi), chi mi garantisce che quel congedo obbligatorio verrà utilizzato correttamente e non al contrario? Sarà quel congedo che fermerà il pianto della mia giovane vicina sposata con un giovane ingegnere cacciatore?
    Mi rendo conto di essere provocatoria ma credo che i problemi vadano affrontati con serietà. E sì, basta con le mistificazioni e con le finte astrazioni, le tue Paolo.

    • Paolo1984 permalink
      2 agosto 2011 11:14

      Il congedo parentale obbligatorio per i padri sarebbe comunque un passo avanti (poi è chiaro che la legge di per sè non rende le persone migliori, se uno è un pessimo genitore o pessimo compagno/a c’è poco da fare, sta alla coscienza dell’individuo comportarsi bene) Credo poi che avere la persona amata vicino 8anche grazie al congedo) possa essere di aiuto ad una donna in depressione post-partum, se avessi una compagna in questa condizione sarei felice di poterle stare vicino e sostenerla in ogni modo
      Comunque la depressione post-partum è un problema molto serio che va affrontato con competenza e sensibilità, ma certo non me la sento per questo di criticare il desiderio di esser genitore, così come le separazioni sono una cosa brutta ma ciò non mi porta a criticare il desiderio di stabilità sentimentale di alcuni giovani, anche a me capita di provarlo non c’è nulla di male, certo bisogna capire bene cosa si vuole e trovare la persona giusta, non è facile e mai lo sarà.
      Sui vestiti mi sono già espresso, non condividete neanche una riga? Pazienza, non sono qua per far cambiare idea a qualcuno ma per dire la mia

      • donatella permalink
        2 agosto 2011 11:43

        Certo che a mettere vicini la depressione post partum e il congedo obbligatorio per i padri ci vuole un bel coraggio…. e mi sono definta provocatoria io!
        Ma fammi capire: ti pare che veniamo qui per dire cose qualsiai, per definire le separazioni “una brutta cosa”, per “criticare il desiderio di stabilità sentimentale dei giovani” per parlare di “persona giusta” e di diritto ai vestiti? Ma veramente pensi questo? E lo sai che ci sono blog più adatti alla tua pretesa di portare questi argomenti all’attenzione di altre e altri? lo sai? Oltretutto ti metti a ipotizzare di far combiare idea a qualcuno seppure dichiarando che non ne hai l’intenzione?

        Ma lo sai cosa stai facendo? Certo che lo sai. A questo punto.

        • Paolo1984 permalink
          2 agosto 2011 12:41

          .Davvero non so cosa ho detto di intollerabile. Se ho usato termini sbagliati e non all’altezza della serietà dei temi,se ho dato la sensazione di voler banalizzare cose gravi come la depressione post-partum e le separazioni mi scuso,non ne avevo l’intenzione. Forse non esprimo le mie idee nel migliore dei modi ma le mie convinzioni, che forse potranno essere o sembrare ingenue, sono sincere e, che ci crediate o no, sono cose su cui ho riflettuto e rifletto tutt’ora.
          Comunque se la mia presenza risulta, aldilà delle mie intenzioni, sgradita, inutile e fonte di disturbo prego chi gestisce il blog di dirmelo e me ne andrò

        • Paolo1984 permalink
          2 agosto 2011 17:56

          aggiungo che pure io sono contrario al fatto di riempire i consultori di antiabortisti e sono contrario al proliferare di medici “obiettori” negli ospedali pubblici, sono per una maggiore informazione su contraccezione, preservativi e maternità e paternità responsabile..aggiungo però che definire il welfare e “quei quattro diritti a tutela della maternità” uno spreco dopo che sono costati tanta fatica e tante lotte di lavoratori e lavoratrici, suggerire addirittura che siano “dannosi” e proprio in un momento in cui con la scusa della crisi ce li vogliono portare via (non ci sono soldi per il welfare,si dice, ma per salvare le banche li trovano)..ecco mi sembrano
          affermazioni gravissime. Non aggiungo altro

  8. Ilaria Durigon permalink*
    2 agosto 2011 09:45

    @donatella:”E’ solo il senso, il sentimento della responsabilità verso se stessi e verso la comunità a dare libertà per cui penso anch’io che vestirsi secondo dettami conformistici sia simbolicamente e poi materialmente molto pericoloso perché testimonia un’assenza di responsabilità che non è solo un vuoto ma un pieno di altro. Altro che significa sfruttamento, povertà, consumismo e consumo di sé, vendita, autorizzazione simbolica a tutto questo.” Purtroppo non molte persone comprendono quello che tu esprimi qui così bene: una persona può ritenersi libera quando sceglie qualcosa pur non essendolo davvero…libertà non è fare quello si “vuole”, ma rendersi conto che spesso quello che si vuole non è il frutto di un autentico desiderio personale, ma il prodotto di convenzioni e giudizi sociali. Ebbene, prima di scegliere ciò che vogliamo, ben venga l’appello ad una responsabilità che guarda al di là del singolo “io”, in direzione di quello che può essere un “noi”.

  9. donatella permalink
    2 agosto 2011 18:04

    Lo spero per te Paolo perché sto perdendo la pazienza. Hai presente che quei quattro diritti non sono più in linea con la contemporaneità, che se per alcuni sono garantiti e costano tanto, per altre e altri non ce n’è neanche l’ombra (sai cosa vuol dire il precariato?) e nessuno si impegna a redistribuire le risorse che sono alla base dei diritti? A riconfigurare i diritti insistendo nel propinare come diritto quelli che stanno diventando privilegi? Hai presente questa confusione? E a cosa serve? Non credo, visto che della mia provocazione hai colto ciò che hai voluto. O potuto, te lo concedo ma ora basta.

    • Paolo1984 permalink
      2 agosto 2011 20:15

      Le provocazioni mi piacciono molto nello spettacolo e nell’arte, quando escono da questi ambiti inizio a gradirle sempre meno, ma è un problema mio.
      Sì ce l’ho presente il precariato e suggerire che i nemici dei precari siano i “garantiti” (che diminuiscono sempre più, tra l’altro) vuol dire mettere i lavoratori uno contro l’altro invece bisogna allargare i diritti e le garanzie sociali a chi ora ne è escluso senza toglierli a chi li ha già. Ora la smetto davvero perchè sto perdendo la pazienza anch’io e siamo già andati OT

    • Paolo1984 permalink
      2 agosto 2011 20:44

      solo un consiglio: leggere Jonathan Swift (in particolare il pamphlet satirico “Una modesta proposta”) oppure guardare i monologhi comico-satirici di George Carlin e Bill Hicks per imparare cos’è una provocazione

      • donatella permalink
        2 agosto 2011 22:08

        Senz’altro.

  10. donatella permalink
    2 agosto 2011 20:35

    Sei tu che vai OT e con arroganza, anche. Io sono IT perché sto parlando del senso di responsabilità che ciascuno deve avere, e nutrire, nei confronti di chi condivide il medesimo spazio vitale affinché la condizione di oppresso, in questo caso di oppresse o di dominate non venga alimentata con provvedimenti che per parte mia considero ipocriti, non risolutivi, dispendiosi e che non affrontano il cuore del problema. I tuoi tentativi di mistificare il mio ragionamento e il tuo vittimizzarti sono fuori luogo e non aggiungono una stilla alla discussione ma esibiscono un punto di vista pretestuoso e, il tuo sì, provocatorio in senso distruttivo. Ti saluto e spero di non dovermi più confrontare con questa miseria.

  11. donatella permalink
    4 agosto 2011 08:35

    Non è con le leggi che si ottiene un maggiore e più qualificato senso di responsabilità, che vorrei definire come l’insieme di sufficiente consapevolezza e di capacità di tradurla in azioni, nel nostro caso di sottrazione dalla volontà di dominio di un sesso sull’altro.
    In passato si è molto discusso sulla capacità performativa delle norme, il movimento delle donne ha molto riflettuto e con competenza tecnico-politica su questo aspetto, tanto da aver invocato un “diritto leggero” sugli aspetti che ci riguardano direttamente anche in presenza di una continua presa di parola maschile sul corpo e sull’autodeterminazione femminile. Del resto le norme prodotte soprattutto in Italia, a partire dagli anni 70, hanno malamente registrato, e non certo dato vita all’insieme di istanze di libertà delle donne incasellandole in leggi che, se si sono rivelate del tutto inefficaci alla libertà femminile, talvolta hanno accresciuto quella maschile riconfermando l’uomo, il maschio come unico soggetto portatore di valore sociale, materiale, simbolico e persino culturale. La mentalità patriarcale è perfettamente contenuta in quelle norme, financo nel linguaggio, retaggio di una cultura cattolica pesantemente presente nel nostro Paese che ha codificato in “azioni positive” le iniziative a supporto del rispetto e del riconoscimento della soggettività femminile. La legge 125 del 1991 e la successiva a supporto dell’imprenditoria femminile (215 del 92), dopo oltre vent’anni di movimento femminista fa delle “azioni positive” il fulcro del presunto sviluppo della libertà delle donne. Consistevano e consistono in piani di “fioretti” (azioni positive, per l’appunto), ovvero di propositi pregni non soltanto di una distorsione simbolica che tenderebbe a rendere la donna pari all’uomo appunto considerando la condizione sociale maschile come una meta da raggiungere e così ribadendone lo statuto di modello anche per le donne, ma di opportunità ancora una volta dispari abbondantemente sfruttata dagli uomini a proprio esclusivo vantaggio. Un esempio su tutti: i finanziamenti previsti per la creazione di imprese femminili (legge 215/92) sfruttati dagli uomini che hanno chiuso le loro impresette in crisi per riaprirle a titolarità apparente delle donne, in genere le proprie mogli. Per non parlare di come ha dilagato la tendenza a finanziare studi di estetiste e parrucchiere quasi come ambito esclusivo di capacità imprenditiva delle donne.
    Lo Stato italiano ha mostrato il suo profondissimo maschilismo in tutte le sue manifestazioni in più fornendo argomenti a un maschile astioso e determinato a rafforzare il proprio privilegio che oggi ci ritorce contro l’esistenza di quelle norme che a giudizio di quel maschile in cattivissima fede, agevolerebbe le donne soprattutto nei casi di separazione. Per parte mia sono convinta che il diritto di famiglia vada completamente rivisto (e non solo quello) in quanto funge da specchietto per le allodole portando a credere che l’assegnazione prevalente dei figli alle madri sia un tratto di vantaggio femminile anche perché accompagnato da provvedimenti di carattere economico totalmente squilibrati di cui le donne in apparenza si avvantaggiano svuotando le tasche dei poveri mariti costretti a mantenerle insieme ai figli. Faccio notare che è sempre una mentalità maschile quella che interpreta le norme secondo una visione tradizionalista della famiglia e della sua crisi, la quale, lungi da un vero riconoscimento della competenza materna alle donne, pone le basi per una reazione rancorosa di quegli uomini che rivendicano una normativa più equilibrata (che anch’io rivendicherei se avessi fiducia nelle norme e nel sistema giudiziario) che se ci fosse li metterebbe finalmente alla prova riguardo il loro vero intento nell’occuparsi dei figli fino alla sostituzione della madre. Non credo che l’affido congiunto esca da questo modo do vedere la maternità e la paternità se non accompagnato da autentico senso di maternità e paternità. Siamo di fronte a quella stessa mentalità che vede gli uomini accompagnare le mogli al supermercato nella maggior parte dei casi non per sollevarle dall’onere dei compiti di cura ma per parteciparvi come occasione di constatazione della propria capacità economica, di gestione diretta del reddito e anche perché i compiti di cura si sono rivelati essere opportunità di riproduzione non soltanto materiale. Sarebbe bello che non fosse così, ma è ancora così nella stragrande maggioranza dei casi: si mettano gli uomini alla prova e si verifichi.
    In tutto questo, sottrarsi alla dominazione maschile non vuol dire credere di averla vinta soltanto perché siamo in presenza di leggi ipocrite e rivendicative di nulla, ma demistificare, demistificare e ancora demistificare. E non posizionarsi a fianco dei femministi che usano i nostri argomenti a loro vantaggio per di più fingendo un’apertura di mentalità totalmente fittizia che utilizzano persino come arma di rimprovero verso chi, donna, non si vuole emancipare al punto di credere che un congedo, obbligatorio, per un padre ha molte probabilità di essere utilizzato male e in modo, appunto, obbligatorio. Nessun padre diventa più responsabilmente tale per legge e la crisi del soggetto maschile non si risolve con le finzioni e le apparenze ma con un processo di maturazione che personalmente non vedo e non certo perché mi faccio mancare le opportunità di osservazione di un processo che vedrebbe due soggetti in relazione invece di un soggetto che domina un altro.
    Mi scuso per la lunghezza ma ho voluto inserire questo commento perché non soddisfatta di quanto sono riuscita ad esplicitare sotto la provocazione del “nostro pedantissimo” Paolo che non solo si permette di giudicare ciò che non conosce, di non riconoscere nemmeno lontanamente l’autorità femminile, ma agisce indisturbato la propria azione di sovvertimento dei significati con protervia, presunzione e maleducazione con in più una dose di stucchevole vittimismo che personalmente rifuto con forza.

  12. Paolo1984 permalink
    4 agosto 2011 11:38

    il fatto che una legge sia applicata male non significa di per sè che sia una pessima legge, nemmeno io credo che la capacità imprenditoriale delle donne si esprima solo con negozi di parrucchiere ed estetista, però esistono donne che li aprono..non mi pare un crimine.
    e mi pare discutibile anche accusare di “volontà di dominio” quegli uomini che fanno la spesa assieme alla compagna e collaborano ai lavori di casa..certamente ci saranno uomini così, ma ci sono anche quelli che amano le loro compagne e collaborano sinceramente
    Sui padri separati: con tutto il rispetto per il loro dramma, mi sbaglierò, ma penso che alcuni uomini si ricordino di essere padri solo dopo la separazione..se un’associazione di padri separati si battesse per il congedo di paternità sarebbe un bel segnale, ma non li ho mai visti battersi per questo nè sostenere politiche per l’occupazione femminile che andrebbe anche a loro vantaggio: più donne economicamente indipendenti vuol dire meno mantenimenti da versare ma questo non lo capiscono, evidentemente.
    E la legge sul divorzio non tutela le donne, tutela il coniuge economicamente più bisognoso, se nei fatti si tratta spesso dell’ex moglie non è colpa del diritto di famiglia. Francamente non credo di meritare la durezza che Donatella mi rivolge ma non si può piacere a chiunque e quando due persone partono da presupposti troppo diversi è impossibile dialogare, dico solo questo: ognuno la pensi come vuole e tutto si può criticare,, ma sottovalutare, per non dire disconoscere le conquiste legali e civili degli anni ’70 mi pare non porti da nessuna parte anzi c’è da difenderle e ampliarle se possibile.

  13. donatella permalink
    4 agosto 2011 12:42

    La mia durezza è rivolta al tuo modo di tallonare chi fa affermazioni che non condividi e che non condividi da una posizione che ho già definito presuntuosa, in senso letterale, oltre che come atteggiamento di chi viene a dare lezioncine. Non confondiamo la capacità di piacere agli altri con l’esercizio di un conflitto che per me è un valore, per te non so.
    Io sto dicendo che ciò che ci appare come conquista civile, è in realtà una enorme ipocrisia tradotta in legge e che oggi, con i congedi obbligatori per i padri, ci ritroviamo di fronte al medesimo pericolo con in più dei costi che in questo momento sono impensabili per il nostro Paese. Ci sono riforme che si possono a fare a costo zero e che non avrebbero ripecussioni finanziarie nemmeno ad ampio raggio, come la legge contro l’omofobia, perché non si fa? Non sto dicendo che la proposta presentata abbia il mio favore, sto dicendo che si stanno compiendo azioni che restituiscono un’idea di società molto ipocrita, che si fonda sulla conservazione delle apparenze e che non lavora, neanche un po’ , a formare le coscienze. Perché l’ottenimento del giusto senso di reponsabilità paterna fa parte di un percorso che deve cominciare a scuola, da piccoli quando si apprende per imitazione del modello. Quali iniziative ci sono che vanno in questa direzione, a parte lo sforzo immane che sta conducendo Lorella Zanardo e il gruppo delle giovani blogger che collaborano con lei? E quale sforzo state compiendo voi uomini, a parte eccezioni che apprezzo, per tirarvi indietro rispetto al privilegio di cui godete per nascita, diciamo così? Prima di sbandierare una normativa come avanzata occorre riflettere fino in fondo e non farsi ingannare dalla sua apparente “bellezza”. Le normative prodotte finora non hanno portato niente alle donne, ciò che hanno, in termini di libertà, se lo sono conquistato con il proprio, soggettivo impegno e nel Movimento, a partire dal quel gesto rivoluzionario, quello si, di riconoscere loro il diritto di voto, ovvero di riconoscerle come soggetti e non come vostre appendici. Ma per cogliere il vero senso di quanto accade non basta ispirarsi a modelli nordeuropei di paesi dove le leggi sono accompagnate da una formazione culturale e umana che, ad esempio, non contempla il familismo italico, con tutto quel che ne consegue nella volontà di esclusione delle soggettività deboli e di quelle altre da sé che sono le donne. Le donne vengono ancora trattate come sesso debole e quando ci si ritrova di fronte alla loro forza vengono bastonate, persino uccise e non solo in Italia. Questa è la realtà. Dura da accettare e lo capisco, per chi vuole vedersi proiettato in un futuro migliore e possibilmente considerarsi partecipe di un presente in cui le conquiste passate sono una risorsa. Ma ti sto dicendo che non sono una risorsa, neanche per te se veramente ti interessa la sostanza delle cose. Lo sono per chi ha interesse a mantenere le cose come stanno e a farle apparire migliori di ciò che realmente sono.

    • Paolo1984 permalink
      4 agosto 2011 13:30

      mi dispiace ma la storia che non ci sono soldi per i congedi di paternità, così come non ci sarebbero per la scuola pubblica, per sostenere la cultura e per il welfare in generale è una balla pura e semplice: per salvare le banche o per le spese militari i soldi li trovano sempre guardacaso. E sì sono superficiale perchè considero il diritto di famiglia del ’75, il divorzio e la legge 194 sull’aborto delle conquiste civili esattamente come il voto alle donne, diventate legge grazie alle lotte del movimento femminista e dei partiti progressisti..che sono conquiste me lo dimostra il fatto che, sopratutto nel caso dell’aborto, vengono continuamente attaccate, criticate, minate da clericali e conservatori perciò dico che vanno difese, migliorate ampliate (riconoscimento delle famiglie di fatto etero e omo, diritto di adottare anche per le coppie gay) come va difeso, migliorato, ampliato il welfare.
      Sono d’accordo poi sul ruolo di formazione degli individui che deve avere la scuola (pubblica) e anche la famiglia (“famiglia” non intesa in accezione monolitica, ci sono tanti tipi di famiglia)
      se queste sono idee superficiali allora sono contento della mia superficialità

  14. donatella permalink
    4 agosto 2011 14:09

    Paolo, io stavo parlando di norme paritarie nel senso più stretto. Fai una cosa: guardati il testo unico che le racchiude tutte, mi sembra sia del 2001 e il numero è il 196. Quanto alla capacità di miglioramento, beh io devo ancora venire in contatto con un pensiero politico all’altezza del compito. C’è una legge del 2000, la 53, quella appunto che riduttivamente vine riferita ai soli congedi parentali ma che teoricamente offrirebbe opportunità che in molti si adoperano a non far conoscere, i sindacati per primi e anche con una discreta violenza. Hai avuto modo di vedere l’accordo Sacconi-Carfagna con tutti i sindacati in materia di lavoro? Beh, guardalo, fa impressione! Il telelavoro che sarebbe una risorsa immensa in grado di ridisegnare tutto il funzionamento della società, con guadagni enormi sotto il proflio della riduzione dell’inquinamento, della spesa sanitaria per le depressioni causate da bullismo e mobbing lavorativo e molto altro, beh viene “concesso” soltanto in presenza di “esigenze di conciliazione” talmente ristrette che se ne snatura persino il senso. Viene concesso a chi ha figli piccoli o persone gravemente malate, il che vuol dire non comprendere che chi deve assisitere un malato molto grave non ha di certo la possibilità di pensare al lavoro. Mentre la 53 consente un’aspettativa retribuita fino a due anni per gli stessi, gravi, motivi ma, come ti dicevo, viene tenuta quasi segreta. Fui assalita personalmente da una tizia responsabile di una segreteria regionale sindacale per aver proposto di farla conoscere inserendola come modulo didattico nei corsi di formazione previsti per i cassaintegrati. Per questo parlo di “quei quattro diritti” rimasti e resi inutilizzati.
    Quanto ad utilizzare risorse finanziarie per obbligare i padri a fare i padri, lo trovo un metodo coercitivo che la dice lunga sulla reale volontà di educare alla paternità responsabile e che trovo alla stregua dell’inasprimento delle pene per gli stalker, strumento rivelatosi assolutamente inutile se non più pericoloso. Non è questa la strada, non è questo l’approccio, non sono queste le soluzioni. Tu stesso indichi la 194 come una conquista sociale che fu il frutto di grandi riflessioni che non dessero un’idea sbagliata sul dramma dell’aborto, grandi lotte, grande capacità di parola da parte delle donne, ma guarda oggi cosa sta accadendo nella Regione Lazio, guarda come la si vuole stravolgere, manipolare…

  15. donatella permalink
    5 agosto 2011 08:43

    Paolo, vedo che ti sei eclissato ed è qui che volevo arrivare.
    Volevo intrattenere con te un buon conflitto ma se te ne vai a questo punto manca la parte più interessante. Mi spiego.
    Fintanto che hai potuto contrapporti ai miei argomenti, lo hai fatto e lo hai fatto con l’ardire (e l’ardore!) di chi si sente essere dalla parte della ragione in quanto porta argomenti difficilmente confutabili quanto a “modernità”, adeguatezza ai tempi e i tempi sono quelli in cui sembra di aver trovato cavalli di troia a non finire per sconfiggere una vecchia società sessista che neppure comprende l’importanza della divisione e dello scambio di ruoli in una coppia, appunto, moderna ed emancipata dalla cultura dominante, quella che schiaccia le donne e che se venisse applicata tutta la normativa paritaria sarebbe migliore. Spero di averti dimostrato che non è così. Ti ho visto arretrare, a un certo punto fino a veder scemare i tuoi argomenti attestandoti sull’innegabile conquista derivante da alcune battaglie sui diritti civili come divorzio e aborto. Ma io ti ho detto che non era di quello che stavo discutendo e lì ti sei fermato. Non ti ho visto cioè entrare nel merito di quel merito che io ho portato, ovvero il bluff della normativa paritaria.
    Un buon conflitto si conclude con la mediazione che non è, bada bene, l’incontro a metà strada cedendo porzioni dei propri convincimenti. Un buon conflitto realizza una conquista di coscienza e se ci fermiamo a questo punto né tu né io abbiamo guadagnato niente. Anche se io sono convinta che tu hai guadagnato moltissimo se ti sei lasciato interpellare profondamente da ciò che pazientemente ho insistito a mostrarti (ho del tempo in questi giorni in cui tutto è fermo). Se sei in buonafede, cosa che spero per te, se cioè non sei l’ennesima maschera che si presenta nei blog delle donne con l’intento di disgregare dall’interno le discussioni, dovresti aver guadagnato elementi concreti di consapevolezza che potrebbero fare di te quel tipo di uomo che profondamente si mette in relazione alle donne e che non si accontenta delle apparenti forme delle “conquiste” paritarie ma si dispone in ascolto verso il pensiero femminile che è un pensiero dalle forti connotazioni materiali, che tiene in conto la realtà e non si lascia abbindolare dai fuochi di paglia. Le donne si misurano con la vita, con la vita che cresce e che non può fingere che tutto vada bene quando tutto va piuttosto male. Ti faccio un esempio banale, in apparenza neutro e sui cui principi siamo tutti d’accordo, la raccolta differenziata dei rifiuti. Uovo di Colombo, certo, perché risolve il problema alla radice, si dice. Non è così. La radice del problema è nel produrre un inferno di imballaggi (e di merci) ma si vuol far credere che la riduzione dei rifiuti si attui con uno smaltimento differenziato e già qui siamo di fronte a un’altra menzogna del potere politico-economico. Una menzogna che produce effetti concreti, materiali sulla vita delle donne. E di quegli uomini, come probabilmente sei tu, che si pongono a fianco delle donne, ma generalmente sono ancora le donne ad occuparsi del lavoro domestico e la raccolta differenziata, quella vera, quella porta a porta con orari e giorni di conferimento specificamente deputati, è un vero e proprio lavoro svolto normalmente dalle donne. Che impiegano una grossa parte della propria attenzione e dei propri gesti, ti dico gesti, ovvero selezione e separazione dei rifiuti, per conquistare un po’ più di civiltà, anche se non alla radice. Perché la radice economica del problema è la cultura maschile ad averla determinata secondo un’organizzazione che per essere smantellata richiederebbe una ristrutturazione dell’ordine economico: chi compenserebbe la chiusura delle fabbriche degli imballaggi se venissero anche soltanto ridotti in una percentuale accettabile? Chi fornirebbe pensiero e di tipo organizzativo complesso a scelte così risolutive? Infatti si preferisce fare altro e spacciarlo per soluzione. Mi dirai ancora che la divisione dei compiti di cura è un buon passo avanti? Potrei farti moltissimi altri esempi e mi limito a un altro. Tu, se è vero che sei del 1984, non hai vissuto la chiusura dei manicomi voluta da Basaglia, ma quella fu un’altra delle grandi conquiste sociali e civili nel nostro Paese che assorbì con grande convinzione le istanze del movimento dell’antipsichiatria .Ma se tutto il possibile nuovo non viene accompagnato da misure concrete e realmente alternative, i “frutti” ricadono inevitabilmente in mano alle donne. Sai dove sono finiti tutti quei malati, dove sono tornati? In molti casi negli ospizi per anziani generando un disastro, come puoi capire, e in tutti gli altri casi nelle mani di chi svolge compiti di cura dovendosi improvvisare infermiera e in qualche caso infermiera specializzata, esperta e capace di gestire le inevitabili crisi ma la conduzione ordinaria di una vita segnata dalla malattia mentale. Certo, se anche gli uomini si facessero carico…ma per me, questo, non è un argomento quando il problema vero non si ha la forza di riconoscerlo ed affrontarlo. Il problema non è aiutare le donne, il problema è riconcepire la società secondo un pensiero materiale che le donne hanno e che voi uomini praticate in misura nettamente ridotta rispetto alle vere esigenze della vita. Nessuno disconosce i vostri meriti ma bisogna andare più a fondo e andarci in due, con quello che Marina Terragni ha sapientemente definito “il doppio sguardo”.
    Termino dicendo che l’esito per me augurabile del nostro conflitto sarebbe che tu coraggiosamente assumessi che io ho ragione e facessi tue le mie ragioni come un elemento di conquista di consapevolezza che spetterà a te rendere fecondo per la tua vita. Il mio augurio è che potremmo essere in due a dire a Bourdieu ciò che sto dicendo da sola e che la prossima volta, magari, sarò io a guadagnare qualcosa da te, da ciò che sai, che sei e sai essere.

    • Paolo1984 permalink
      5 agosto 2011 10:14

      Mi sono eclissato semplicemente perchè le mie idee le avevo espresse già, ho letto con interesse le tue ma non sento di aver detto nulla di sbagliato. Mi pare ovvio che la raccolta differenziata da sola non basta se non è accompagnata da politiche antispreco e di riciclaggio perchè è chiaro che se i rifiuti differenziati finiscono tutti nella discarica o nell’inceneritore non è che si sia risolto granchè, stesso discorso per la legge Basaglia, che spesso e volentieri sia stata male applicata è chiaro, ma non significa che non è stata una conquista significa che va applicata meglio, trovando delle vere soluzioni alternative per i malati mentali che permettano loro di essere assistiti da gente competente.
      Il sindacato manca al suo compito storico di tutelare lavoratori e lavoratrici? Allora coloro che dentro al sindacato vogliono cambiare (e ci sono) lottino per un sindacato che faccia il suo dovere e ll stesso per la scuola.,Welfare e normative paritarie così come sono non funzionano,presentano lacune? Allora si migliorino, si facciano funzionare, insomma le storture legislative, i problemi nel sindacato che segnali sono reali, ma non significa che sindacati e normative paritarie siano dannose in sè se tu dici che nel contesto attuale lo sono..bè io più che dire che non sono d’accordo non so che fare: ovvio che le leggi da sole non ti trasformano in una persona migliore, migliorare le persone, renderle più buone non è mai stato il compito della legge (lo è solo negli Stati etici e nei regimi totalitari non certo nella democrazia moderna, per fortuna), ma se non si fanno neanche le leggi non cambierà mai nulla, non ci sarà mai neanche l’occasione di provare a cambiare
      Poi quando dici “nessuno disconosce i vostri meriti” questo per me è un problema perchè, vedi, per me nell’essere maschio in sè e per sè non c’è o non dovrebbe esserci alcun merito nè alcun demerito “originario” come non c’è nell’essere femmine..ho imparato che merito e colpa sono categorie morali che hanno a che fare con gli individui, con ciò che fanno, o al massimo con movimenti collettivi,o istituzioni (i meriti del movimento operaio, i meriti del movimento di emancipazione delle donne le colpe della Chiesa,ecc..) ma mai semplicemente col sesso di appartenenza.

  16. donatella permalink
    5 agosto 2011 11:32

    Ok, vedo che non ti va o non riesci a cogliere ciò che ti dico e anche questo per me va bene purché la prossima volta prima di attaccare il mio punto di vista con il tuo e i tuoi metodi tu ne tenga conto, e seriamente perché non ho nessuna intenzione di subire i giudizi di chi non prova neppure a mettere in questione le proprie idee. Io non discuterò le tue e tu non discutere le mie perché con questo lungo percorso che ho cercato di mantenere IT, si dimostra che non c’è possibilità di relazione fra me e te. Punto. Aggiungo solo che secondo me qualcosa ti fa velo nel comprendere ciò che dico, in buona o in cattiva fede non so e non mi interessa ma che tu possa arrivare a pensare che un uomo (o una donna) possa avere dei meriti per via del suo sesso mi pare quasi divertente. Parlavo del maschile modo di concepire, progettare e gestire una società che dovrebbe andare bene anche per le donne. Ma non c’è storia, quindi lasciamo proprio stare.
    P.S. Mi aspetto che tu dica che sono stata io questa volta a discutere il tuo punto di vista, è vero e l’ho fatto perché avevo un’idea che ho cercato di farti arrivare, non accadrà più, o almeno non con l’obiettivo di dialogare con te.
    Naturalmente ero ironica quando ho fatto intendere di seguire i tuoi suggerimenti blibliografici in tema di provocazione e anzi, ti suggerirei un po’ più di umiltà quando parli con gli altri e le altre, la cattiva educazione io la respingo sempre, l’arroganza di chi sente colto, poi, mi ripugna.

  17. luciana permalink
    2 agosto 2012 14:14

    Donatella..A noi donne lo spirito di crocerossina non manca mai.. è difficile uscire dalla indispensabilità per noi.. ti sei salvata solo dicendo che avevi tempo da perdere..ciao cara Ps.
    A meno che , intelligentemente tu abbia raschiato il fondo di questo barile per dire ciò che volevi far arrivare..

I commenti sono chiusi.