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The Man Box

19 settembre 2012

C’è una questione ancora più preoccupante di quella femminile, più preoccupante perchè l’impressione è che i soggetti che vi sono coinvolti siano ancor meno consapevoli dell’esistenza del problema. Mi riferisco ovviamente alla cosiddetta questione maschile.

Fate un esperimento: pensate ai vostri amici, uomini e donne, alle persone che conoscete. Adesso pensate alle vostre amiche e conoscenti, quante di esse possono definirsi in un certo qual modo femministe? Quante donne conoscete che sono consapevoli delle dinamiche sociali a cui siamo costretti, dell’esistenza di ruoli di genere fissi ed incapaci di esprimere la diversità individuale, del fatto che il rosa per le femminuccie e il blu per i maschietti è solo un’odiosa imposizione culturale  e non il riflesso delle diverse ed irriducibili nature maschile e femminile?

Se io penso alle donne che conosco, alle mie amiche o conoscenti, mi rendo conto che tutte bene o male, più o meno, a livelli diversi e in relazione ad ambiti diversi, sono consapevoli degli stereotipi femminili e della disparità fra i generi,  anche se magari mai e poi mai ammetterebbero di essere femministe.

Bene, se penso ai conoscenti e agli amici uomini la percentuale si assottiglia così tanto che diventa indispensabile guardarla con la lente di ingrandimento. Sono pochissimi coloro i quali sono consapevoli degli stereotipi di genere e di quanto l’adesione a tali stereotipi possa rendere la loro vita limitata in ambito affettivo e relazionale.

Elisabeth Badinter nel suo libro XY, de l’identité masculine (1992)  sostiene come sia molto più difficile crescere da uomo che da donna, una bambina ha sotto certi aspetti (almeno nella crescita) margini di libertà maggiori rispetto a quelli di un bimbo irrigimentato in forme di controllo e di coercizione che impediscono la piena espressione di certe emozioni o stati d’animo oppure che impediscono il dedicarsi a certe attività e a certi giochi.

Vi proponiamo questo video in cui Tony Porter, educatore, attivista, co-fondatore della associazione no-profit A Call to Men, associazione che si batte contro la violenza sulle donne da un’ottica “maschile” ovvero rivolgendosi a chi infligge la violenza e non a chi la subisce, parla degli stereotipi maschili.  

Tony Porter: A call to men – 33 Translation(s) | dotSUB.

4 commenti
  1. Anna permalink
    19 settembre 2012 15:58

    Volevo segnalare un articolo estremamente interessante sul tema della costruzione del genere, se non l’avete già visto, sull’Internazionale 14/20 settembre 2012 (questa settimana). L’articolo è preso dal New York Times Magazine, autrice Ruth Padawer e si intitola “che male c’è se un bambino si veste da femmina?”. Si lega anche al tema della gabbia in cui crescono i maschi, forse ancor più stretta di quella delle femmine riguardo ai comportamenti da tenere….o no? forse solo diversa, ma altrettanto non rispettosa della libera espressione di ognuno.

  2. Ilaria Durigon permalink*
    20 settembre 2012 08:34

    Condivido l’idea che gli uomini tanto quanto le donne siano costretti all’interno di schemi sociali molto rigidi…sgarrare equivale ad essere tagliati fuori dalla definizione di ‘uomo’. Perchè così pochi uomini si ribellano al loro ‘modello’? sia perchè, secondo me, la condanna sociale è molto più violenta che non per le donne (mi vengono in mente tutti quegli uomini che si occupano di questioni di genere , come vengono considerati dagli altri uomini…), sia perchè restare dentro a quegli schemi garantisce loro una posizione di netta superiorità…superiorità a cui, evidentemente, è molto difficile rinunciare.

  3. 20 settembre 2012 13:35

    Reblogged this on Womenoclock and commented:
    Anche qui di rabbia ce n’è molta…

  4. Maria permalink
    21 settembre 2012 08:27

    Condivido integralmente l’intervento di Ilaria, cui vorrei aggiungere qualche altra considerazione.
    La nostra cultura, segnata dal dominio maschile, è tradizionalmente imperniata su una serie di dualità, la principale delle quali è quella fra donna e uomo, fra femminile e maschile. Questa fondamentale bipartizione genera, a sua volta, una costellazione di dicotomie che concorrono a definire in modo rigido e cristallizzato i caratteri e gli elementi ritenuti propri dell’uomo e quelli considerati tipici della donna. Enumero alcune di queste dicotomie: corpo/mente; natura/cultura; sentimento/ragione; debolezza/forza; passività/attività, ecc..
    I termini che compongono ciascuna dicotomia sono disposti in ordine gerarchico (inferiore/superiore) e diversamente connotati: il primo è disprezzato e affibbiato alle donne, il secondo è concepito come positivo e attribuito agli uomini.
    Si comprende pertanto perché le donne siano consapevoli dell’esistenza degli stereotipi di genere e siano disposte a decostruirli e a superarli, dal momento che i cliché associati al loro sesso sono comunemente percepiti come negativi. Le donne hanno altresì rivendicato il pieno possesso di facoltà come la ragione, la capacità di argomentare, che non considerano affatto una qualità esclusivamente maschile e hanno conquistato l’accesso alla cultura e alla sfera pubblica, domini tradizionalmente riservati agli uomini. Un’altra pratica che diverse donne hanno adottato è consistita, al contrario, nella naturalizzazione delle differenze fra uomini e donne, diversità che vengono pienamente assunte, ma rivestite di un significato positivo (è la strategia del femminismo della differenza che valorizza ad es le competenze relazionali e comunicative delle donne).
    Gli uomini risultano ovviamente assai meno interessati a porre in discussione uno schema che attribuisce a loro le più eccelse virtù e valuta invece negativamente i caratteri attribuiti alle donne.
    Ma c’è di più.
    Come illustra chiaramente il box che precede l’articolo di Laura, il modello di maschilità egemone (non ne esiste uno solo, infatti,) ha consentito agli uomini di acquisire una posizione dominante e di esercitare il potere. E’ proprio per questo che è difficile contestarlo. Ed è anche per questo motivo, credo, che i ragazzi e gli uomini che rifiutano di conformarsi ad esso rischiano di subire gravi vessazioni e di essere ostracizzati.
    Discostarsi da questo modello significa, infatti, corroderlo dall’interno e, di conseguenza, contestare la posizione di predominio occupata finora dai membri del sesso maschile.
    Ma il clima di riprovazione che aleggia attorno agli uomini che hanno deciso di respingere lo schema di comportamento prescritto è determinato soprattutto dal fatto che il modello di maschilità egemone è caratterizzato da un profondo disprezzo nei confronti di ciò che tradizionalmente è considerato femminile. Manifestare qualità che si reputano femminili è considerato da chi conforma il proprio comportamento a questo modello assolutamente inaccettabile. Basti pensare, per proporre un solo esempio, a quanto sia diffusa, fra gli uomini che vi si adeguano, l’omofobia. I gay sono stigmatizzati in quanto si innamorano degli uomini, proprio come le donne eterosessuali, e in quanto si ritiene adottino comportamenti “effeminati”.
    Si consideri anche quanto trabocchi di disprezzo il termine “femminuccia” affibbiato ai bambini proclivi al pianto o alla piena estrinsecazione dei propri sentimenti e quanto sia invece carico di ammirazione il termine “maschiaccio” riferito a bimbe che assumono atteggiamenti maschili.
    Da quanto ho detto, si sarà compreso come il genere maschile si strutturi secondo una gerarchia, nella quale solo alcune mascolinità occupano una posizione dominante mentre le altre vengono considerate
    subordinate o marginali.
    Ad essere collocati in una posizione di subordinazione sono sia gli omosessuali che quegli eterossessuali che non presentano i requisiti “minimi” della mascolinità (sono molto sensibili, fragili, non sono aggressivi e competitivi, studiano troppo, non si interessano di sport ecc.), i quali diventano spesso bersaglio di discriminazioni e di offese verbali,
    E’ chiaro pertanto perché sia così difficile per molti uomini contestare apertamente un modello di mascolinità che magari non condividono affatto.

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