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Archeologia del patriarcato

23 ottobre 2012

Femminile Plurale inaugura questo nuovo filone, Archeologia del patriarcato, con l’intento di fornire contributi e ricerche relativi alle donne nella storia. Ciò è motivato da due presupposti che si sono rivelati imprescindibili per noi e per il nostro impegno/agire politico: in primo luogo la consapevolezza/intuizione che nella maggior parte dei casi il consolidamento stesso delle strutture patriarcali le ha rese tanto nascoste da aver reso difficile e tortuosa la loro individuazione, se non a fronte di un’attenta analisi storiografica e di un puntuale approfondimento filosofico.

Da qui deriva anche la scelta del titolo del filone.

Il secondo presupposto deriva dagli avvenimenti e dagli eventi a cui abbiamo partecipato nell’ultimo periodo, che ci hanno convinte della necessità che il femminismo tragga la sua forza anche dalla storia e dalla memoria di pratiche e linguaggi condivisi e storia di avvenimenti, eventi e donne dimenticati. Il desiderio è di costituire in primis una storia/memoria di donne attraverso la riscoperta delle donne nella storia, al fine colmare il vuoto, non solo storiografico, che la storia degli uomini ci ha lasciato. Il lavoro di scavo e approfondimento lungo queste tracce ci restituisce il senso del nostro agire e del nostro essere ed è una parte che riteniamo indispensabile per la costruzione e per il raggiungimento della nostra libertà, nella misura in cui essa è fondata non solo su una presa di coscienza personale e individuale ma anche sulla conoscenza complessiva di storie, persone, momenti. 

Siamo consapevoli che la nostra forza intellettuale e politica non possa che venire arricchita dalla riconsiderazione del nostro passato “femminista”. Non vogliamo cominciare da capo, non cerchiamo nuovi inizi, ma vogliamo procedere a partire anche da una memoria condivisa che ci dia strumenti, idee ed esperienze per costruire il futuro. 

Archeologia del patriarcato – Capitolo 1

La 194 vittoria del femminismo: un falso storico

Espresso 3 (XXI) 19 gennaio 1975

Vogliamo inaugurare questo nuovo filone con un post ispirato da una scena che ci ha colpito molto durante la plenaria conclusiva di Paestum, domenica mattina. A dire il vero, è successo tutto in maniera per noi inaspettata e quindi senza che fossimo perfettamente presenti alle dinamiche in atto. Ma anche al prezzo di sacrificare la puntualità nel riportare citazioni, nomi e fatti, abbiamo comunque scelto di scriverne per cogliere e riferire un esplicito invito che ci è stato rivolto nella concitazione di quei momenti da alcune “femministe della vecchia guardia”: quello di approfondire maggiormente la storia del femminismo e di conoscerne in maniera precisa le tappe giuridiche fondamentali.

Allora, la scena è stata la seguente. È più o meno metà mattinata e la donna che in quel momento ha in mano il microfono sta sottolineando l’urgenza con la quale una parte di giovani femministe (a partire da noi di Femminile Plurale) ha chiesto all’intero movimento di farsi carico della situazione del precariato, come fattore determinante e vincolante nella vita di molte di noi. A un certo punto, la donna si rivolge “alle storiche” chiedendo che abbraccino l’istanza delle precarie, nel nome delle rivoluzioni portate avanti: «Voi che avete combattuto e vinto le battaglie in favore della 194 e del divorzio, portate avanti anche la battaglia contro il precariato come vi chiedono queste giovani donne».

È a questo punto che una delle donne seduta a metà platea dà letteralmente in escandescenza, gridando che è ora di finirla di dire sciocchezza e che non sono certo state le femministe a volere né la legge sull’aborto né quella sul divorzio. La donna si alza dal suo posto letteralmente furibonda raccogliendo le sue cose, con la chiara intenzione di abbandonare l’assemblea. A nulla valgono i tentativi delle sue compagne di calmarla e di far sì che rimanga.

Incuriosite usciamo anche noi dalla sala per cercare di capire cosa abbia potuto innescare un tale scatto d’ira. Lei se n’è già andata, come una furia, allora chiediamo lumi ad alcune compagne con le quali siamo riuscite a vederla assieme, prima che lasciasse l’incontro.

«Il fatto è» ci spiegano «che certo non sono state le femministe a battersi per la 194. Noi chiedevamo semplicemente una legge sulla depenalizzazione del reato».

Ma come?!, ci domandiamo noi, cresciute nel mito della lotta per l’aborto come la trincea di prima linea del movimento. D’altronde basta googlare “legge aborto/vittoria femminismo” per generare pagine e pagine di risultati. Nel portale Novecento Italiano ad esempio, pure riconoscendo che «…per molte femministe la fredda sanzione legislativa di un’esperienza individuale di dolore non poteva costituire un momento di “liberazione” per le donne», si definisce l’approvazione della 194 come una «vittoria del femminismo», dopo aver affermato che «La lotta per l’aborto venne fatta propria dall’UDI e dalla gran parte dei gruppi femministi». Anche Il Salvagente, in un articolo del 2010 scritto proprio in occasione del trentatreesimo compleanno della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, la definisce una «legge-conquista del movimento femminista».

Lucrari Claudiu Candea

A Paestum invece impariamo un’altra verità: lottare per il provvedimento sarebbe equivalso a chiedere che lo Stato legiferasse sul corpo delle donne. Lo spiega con estrema chiarezza in un articolo su Liberazione, pubblicato il 21 maggio 2008, la giornalista femminista Angela Azzaro, affermando – come abbiamo sentito a Paestum – che la maggior parte delle donne femministe si batteva non per una legge ma per la depenalizzazione.

«…una legge avrebbe significato che lo Stato metteva bocca sul corpo delle donne. Così è stato, anche perché alcuni degli articoli del testo aprono di fatto all’obiezione di coscienza da una parte e dall’altra alle varie interpretazioni su quanto e come inizia la vita».

In questo pezzo Azzaro spiega come anche chi difende la legge non abbia compreso la cosa più importante, ossia che occorre «mettere in discussione se stessi (sessualità, relazione) e la propria cultura politica». È necessario, secondo lei, un nuovo terreno di dibattito che sia scevro dal dogma che definisce “vita” anche ciò che prescinde dalle relazioni. Questo dogma starebbe infatti alla base dell’intima convinzione, condivisa anche da numerose donne che si battono per la 194, che l’aborto in fin dei conti sia un omicidio, per quanto necessario: «Ristabilire oggi che cosa è vita e che cosa non lo è – scrive Azzaro – ristabilire il confine fra lo Stato e la libertà di scelta, significa capire quanto nella politica contino non solo le questioni astratte, ma i corpi, le storie, le relazioni».

Sempre nel 2008 anche Lea Melandri nel suo saggio “Il corpo, la legge e le pratiche politiche del femminismo” cita “Lessico politico delle donne: teorie del femminismo”, libro in cui, alla voce “aborto” si parla della differenza fra la battaglia per l’aborto condotta nelle aule parlamentari e il dibattito all’interno del movimento delle donne che ha continuato a svilupparsi, in maniera separata, altrove:

«Mentre i laici e i cattolici contrapposti portavano avanti la battaglia per l’aborto a livello parlamentare, il Movimento delle donne ha continuato separatamente il suo dibattito. Schematizzando si possono individuare due posizioni di fondo: una che ha visto nella formulazione di una legge che legalizzasse e rendesse assistito e gratuito l’aborto, la conquista di un diritto civile e il riconoscimento sociale dei diritti e della forza delle donne; l’altra posizione non ha ritenuto invece utile per le donne una riforma sociale, come è una normativa dell’aborto, attuata da un sistema che non comprende le donne e in cui le donne non hanno diritto di espressione. Non si è voluto soprattutto affermare il “diritto civile” a subire la violenza dell’aborto. Rimanere incinte senza desiderarlo o essere costrette ad abortire anche se si desidera un figlio, provoca nelle donne conflitti e situazioni tali che nessuna legge può pensare di regolare, sistematizzare o risolvere. Per questo si è chiesta semplicemente l’abolizione del reato di aborto, la depenalizzazione… Il rapporto con la maternità e la riproduzione e quindi in negativo anche quello con l’aborto, si può chiarire solo attraverso la ricerca di una sessualità non segnata dall’uomo, affrontando l’analisi del rapporto uomo-donna, comprendendo i motivi e le dinamiche per cui si resta incinte, pur dovendo poi abortire».

11 commenti
  1. 23 ottobre 2012 10:19

    Segnalo il Blog di Vania Chiurlotto , forse è utile alla vostra opera di ricognizione, saluti, Pina Nuzzo
    “Mi sembra necessario in primo luogo motivare la scelta di raccogliere e mettere in rete testi pubblicati ormai trentacinque anni fa. Si tratta di brevi editoriali – sempre di 2500 battute – comparsi settimanalmente in Noi donne, da me diretto dall’autunno1977 alla primavera 1981”. (Vania Chiurlotto)
    http://ilpostdellasettimana.wordpress.com/

  2. 23 ottobre 2012 12:09

    Sempre importante il lavoro di scavo e ricostruzione. Sul femminismo circolano tantissimi luoghi comuni, più o meno generosi e in bona fede. Segnalo anche il lavoro intrapreso col blog http://wedwellinpossibility.blogspot.it/; è necessaria la riflessione storica, storiografica, è necessario rileggersi i testi di quegli anni.
    ciao buon lavoro
    paola

  3. Maria permalink
    23 ottobre 2012 20:53

    Condivido con voi l’interesse per il nostro passato femminista e avverto anch’io il desiderio di attingere dalla storia “strumenti, idee ed esperienze per costruire il futuro”, che ci evitino la fatica di ripartire sempre da capo. Per altro il neofemminismo degli anni Settanta ha elaborato concezioni molto radicali che sarebbe opportuno conoscere e riconsiderare attentamente.
    Sono al corrente, almeno vagamente, del dibattito che animò il movimento delle donne riguardo alla questione dell’aborto e ritengo che, benché preceduta intense mobilitazioni e manifestazioni femministe, la Legge 194 non rappresenti una compiuta vittoria del movimento. La norma si configura piuttosto come il prodotto di un compromesso fra PCI e DC, come rivela l’introduzione dell’obiezione di coscienza e la serie di restrizioni imposte alla libertà di interrompere la gravidanza.
    Molti gruppi femministi richiedevano la depenalizzazione del reato d’aborto, piuttosto che la promulgazione di una legge che lo regolamentasse, per le ragioni che avete indicato nel vostro post, ma anche perché alcuni di essi concepivano l’interruzione di gravidanza non come la manifestazione di una libertà femminile, ma come l’espressione di un asservimento alle istanze di godimento maschili. Osservava Carla Lonzi nel 1971 in Rivolta Femminile: “L’uomo ha lasciato la donna sola di fronte a una legge che le impedisce di abortire: sola, denigrata, indegna della collettività. Domani finirà per lasciarla sola di fronte a una legge che non le impedirà di abortire. Ma la donna si chiede: per il piacere di chi sono rimasta incinta? Per il piacere di chi sto abortendo? La donna adesso riflette: se è stato nel modello sessuale imposto dall’altro, dall’uomo, che essa ha sfidato il concepimento, allora è stato l’uomo a sfidare il concepimento sul corpo di lei. Il concepimento dunque è frutto di una violenza della cultura sessuale maschile sulla donna, che viene poi responsabilizzata di una situazione che invece ha subito. Negandole libertà di aborto l’uomo trasforma il suo sopruso in una colpa della donna.”
    Nel 1975 si ponevano le stesse domande (“Per il piacere di chi sono rimasta incinta? Per il piacere di chi sto abortendo?”) le redattrici milanesi del periodico femminista “Sottosopra rosso”, che consideravano l’aborto una risposta violenta e mortifera al problema della gravidanza.
    Carla Lonzi rilevava giustamente come nella sessualità femminile l’organo del piacere (la clitoride) non coincide con quello della riproduzione. Era piuttosto la sessualità maschile elevata a norma che, contemplando la penetrazione, configurava il rapporto sessuale come inevitabilmente riproduttivo. Da questa norma la donna doveva discostarsi per attingere piacere dalla relazione e sperimentare una sessualità clitoridea o, meglio ancora, polimorfa, appagante, non rischiosa e non subordinata alle esigenze maschili.
    Interessante e singolare è, inoltre, la posizione espressa dal gruppo di impianto operaista “Lotta femminista”, sorto a Padova nel 1971 e diffusosi poi in varie città. Le donne che vi aderivano osservavano come la sessualità femminile nel sistema di produzione capitalista fosse repressa e sfruttata a fini riproduttivi, sicché fare l’amore non si configurava quasi mai come libera ricerca del piacere, ma come una forma di lavoro, come il prolungamento notturno delle incombenze domestiche. “Pertanto – scrivevano – restare incinte contro la propria volontà è l’incidente sul lavoro di chi è destinata alla procreazione e alla riproduzione della forza lavoro e l’aborto è un’ulteriore violenza per riparare a tale incidente”. La loro richiesta era quindi quella di introdurre l’aborto libero, gratuito, assistito e con anestesia, accompagnato dall’erogazione statale di un’indennità per infortunio sul lavoro.
    Questa concezione della sessualità verrà ripresa e compiutamente elaborata da Silvia Federici negli anni Ottanta nel libro “Il grande calibano”, scritto in collaborazione con Leopoldina Fortunati.
    (Per le posizioni di Lotta Femminista, si veda la raccolta di documenti accessibile al link: http://www.femminismoruggente.it/. Anche il libro “Il grande calibano” è gratuitamente consultabile on line).
    Non è forse inutile ricordare come negli anni Settanta, secondo testimonianze femminili riportate da diverse fonti, la sessualità degli uomini fosse frettolosa, egoista, volta esclusivamente al proprio appagamento, ottenuto con un rapido coito.

    Le femministe italiane degli anni Settanta, comunque, hanno sviluppato concezioni originali su una vastissima gamma di argomenti, incluso il lavoro (penso alla corrente del “femminismo sindacale”, alle riflessioni del gruppo “Lotta femminista” che elabora la proposta di erogare un salario alle casalinghe, al rifiuto del part-time ecc.).

  4. Donatella Proietti Cerquoni permalink
    23 ottobre 2012 23:14

    Segnalo “Noi sull’aborto facciamo un lavoro diverso” di Lia Cigarini ne La politica del desiderio

  5. 28 ottobre 2012 23:19

    Grazie a tutte voi.
    Grazie per la vostra disponibilità al confronto, per il clima davvero giocoso e persino in alcuni momenti gioioso, almeno per me, durante il nostro viaggio.
    Spero capiti ogni tanto l’occasione di incontrarci e ritrovare il clima che ci ha consentito di stare insieme non come fra estranee, come di fatto eravamo, ma con la curiosità di conoscerci, il piacere di ascoltarsi e la voglia anche di giocare insieme.
    Ma grazie anche, davvero, di avermi fatto entrare nel blog: E’ stato interessante leggere quelle memorie citate nel blog rispetto all’aborto.
    Più importante ancora del divorzio, infatti, è ricordare l’enorme distanza che c’è fra la volontà femminile, almeno di allora, di essere “liberate dall’aborto” e quella “raccontata” della richiesta del “diritto di aborto”: una vulgata ignobile che stravolge il senso di quelle lotte. E la legge sull’aborto è un tradimento.
    E’ evidente che finché esisteranno gravidanze non volute non si potrà negare alla donna il diritto di ovviare al problema attraverso un intervento che, comunque, non è mai piacevole e spesso è fonte anche di sofferenza emotiva e non solo. E’ una doppia violenza: prima asservimento alla sessualità maschile e poi la costrizione a fare comunque violenza, forse non sempre pesante, ma comunque violenza sia materiale sul corpo che affettiva e, infine, simbolica su di sé.
    Quindi brava nel suo intervento Angela Azzaro, brava Lea Melandri e brave le amiche del blog che hanno aperto lo sguardo su questo.
    Credo sarebbe necessaria e importante una battaglia culturale e politica per ripristinare il senso autentico della lotta femminile che era contro una sessualità asservita a quella maschile. Parlare di “diritto all’aborto” è deviante. Finché esisterà questa vulgata non solo non si capirà nulla, ma potrà essere deviante anche rispetto alle donne giovani e non solo. Mi piacerebbe discuterne con voi.
    Un abbraccio
    M. Luisa

    • Donatella Proietti Cerquoni permalink
      28 ottobre 2012 23:37

      Maria Luisa, che piacere trovarti in un blog, in questo blog! sono tanti anni che non ci vediamo e forse non siamo le sole, tu ed io a non essersi viste per tanto tempo. Non sono potuta venire a Paestum ma sto ricevendo fiumi di energia e di politica da tutto quanto è stato messo in rete, anche grazie alle amiche di Femminileplurale. I blog, le pagine facebook sono state fino ad oggi frequentate poco dalle donne del femminismo storico che invece cominciano, finalmente, ad usare il web che senz’altro ha i suoi limiti ma offre tante possibilità di confronto.Stavo pensando che forse noi abbiamo dato per scontato che le giovani generazioni conoscessero le nostre effettive posizioni sui diversi temi mentre bisognava pensare che sono state (in)formate per lo più dai mass media e da una scuola che non dà conto di quasi niente della storia contemporanea, o la distorce, come sempre fa la Storia. Ma stiamo usando al meglio i mezzi che abbiamo, è un bene ed io ringrazio ancora Femminileplurale. Un abbraccio Maria Luisa, ci troviamo presto, qui o altrove.
      Donatella

  6. paolam permalink
    3 novembre 2012 00:31

    Grazie Maria Luisa, io ero adolescente, ma ricordo benissimo: l’aborto era considerato una conseguenza di un’assenza di autodeterminazione e consapevolezza delle donne che era a monte, e che se ci fossero state avrebbero reso inesistente, o quasi, la necessità di abortire; era visto come la conseguenza di un’asservimento delle donne ai principi della sessualità maschile. Detto questo, subentrava lo stesso principio di autodeterminazione che, assente a monte, doveva almeno essere garantito a valle, cioè quando una donna si trovava nella necessità di abortire: in quella circostanza, così come avrebbe dovuto essere in precedenza, bisognava affermare la titolarità sul proprio corpo.

  7. 15 novembre 2012 20:42

    Segnalo, in sintonia su questo stesso tema, un articolo di Luisa Muraro del 2005, titolo “Il ripensamento femminista”. Uno stralcio:

    “[…] il pensiero politico femminista, quando si è espresso con documenti suoi, non era d’accordo [con la posizione del partito Radicale sull’aborto] perché vedeva nell’aborto, legale o illegale che fosse, una conseguenza di una sessualità femminile subordinata a quella maschile e lavorava intanto perché la questione trovasse risposta in una più ampia concezione della libertà femminile. Cito […] da documento del 1973: “Per gli uomini l’aborto è questione di legge, di scienza, di morale, per noi donne è questione di violenza e sofferenza. Mentre chiediamo l’abrogazione di tutte le leggi punitive dell’aborto e la realizzazione di strutture dove sostenerlo in condizioni ottimali, ci rifiutiamo di considerare questo problema separatamente da tutti gli altri nostri problemi, dalla sessualità, maternità, socializzazione dei bambini, ecc.” (Collettivo di Via Cherubini). […] C’è un problema a monte di questo fasullo “ripensamento”, che forse è venuto il momento di affrontare. Ed è che il pensiero politico delle donne ha interessato – ed è stato registrato, dalla cultura ufficiale, sia politica sia giornalistica – nella misura in cui stava dentro al quadro che questa cultura aveva già presente.”

    Ecco un link all’articolo completo:
    http://www.libreriadelledonne.it/news/articoli/contrib120205.htm

  8. Flavia permalink
    1 Maggio 2013 19:46

    ho 61 anni e ho lottato per la depenalizzazione dell’aborto, con adele faccio e altri al tempo, ho lottato perchè le donne potessero abortire in tutte le strutture affidabili con servizio a carico dello stato, poichè anche le meno abbienti potessero essere assistite in questo passo così difficile. Allora chi poteva permetterselo andava a Londra ad abortire! La legge 194 è stata un compromesso decente che ci ha portato fino ad oggi. Si può sempre migliorare! Coraggio adesso il Testimone è nella lotta delle più giovani. Specialmente per gli obiettori che non dovrebbero esistere nelle strutture pubbliche!
    Flavia De Paoli

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