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Pussy Riot, colpevoli e vincitrici

20 agosto 2012

Per aver cantato lo scorso febbraio nella Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca una “preghiera punk“, tre esponenti del collettivo femminista Pussy Riot sono state condannate a due anni di prigione.

A conti fatti, si tratta di una pena davvero mite. Infatti l’accusa aveva chiesto tre anni e addirittura per il reato contestato (teppismo motivato da odio religioso) Nadezhda Tolokonnikova (23 anni), Maria Alekhina (24) e Yekaterina Samutsevich (29) rischiavano fino a sette anni di reclusione. È evidente che la relativa mitezza della pena non proviene da un improvviso attacco di clemenza del sistema giudiziario russo ma, piuttosto, da una decisione politica rispetto a una vicenda altrettanto politica che, quasi da subito, aveva visto il potere costituito in una situazione di sconfitta preventiva.

La sconfitta per il potere in Russia deriva dall’immagine internazionale che è scaturita che da questa vicenda. Per esempio: il Guardian ha titolato che le Pussy Riot hanno mostrato il potere in Russia per quello che è, ossia “violento, punitivo e maschile“; il New York Times, partendo da questa vicenda, ha dedicato un articolo alle vergogne accumulate dalla Russia negli ultimi anni; lo Spiegel interpreta il fenomeno come un sintomo della crisi del sistema politico russo. E la lista potrebbe facilmente continuare.

Ma come è stato possibile che un’esibizione di pochi minuti fatta da ragazze in passamontagna fluo per protestare contro Putin e contro l’appoggio pubblico (e quindi elettorale) a lui dimostrato dalla chiesa ortodossa nella persona del patriarca Kirill abbia raggiunto le proporzioni di una minaccia per la credibilità internazionale del sistema politico russo?

Le ragioni di questa eco sono l’appetibilità mediatica, quella politica e infine le caratteristiche dell’esibizione che tutto questo compendiano e portano a frutto. Per quanto riguarda l’appetibilità mediatica, essa consiste nel fatto che non c’è bisogno di leggere, studiare, intendersi di geopolitica per rendersi conto di quanto successo: è sufficiente vedere un video su Youtube e sapere che le cantanti in questione rischiano addirittura la prigione. Cosa potrebbe volere di meglio una opinione pubblica mondiale che si basa su pillole di informazione, piuttosto che su informazioni complesse? L’appetibilità politica invece, questa sì, sta negli equilibri geopolitici odierni. La condivisione di interessi strategici da parte di Russia e Cina sta determinando un loro riavvicinamento che rappresenta una minaccia al monopolio occidentale del potere (un esempio, il veto poco più di un mese fa contro la risoluzione dell’Onu sulla Siria, che Hillary Clinton commentò così: “Russia e Cina ne pagheranno il prezzo”). Un’occasione del genere, dal punto di vista occidentale, è ghiotta per battere la lingua dove il dente duole: diritti umani, libertà di stampa, libertà di espressione.

L’esibizione delle Pussy Riot capitalizza tutto questo, mostrando, con immediatezza artistica, l’evidentissima sproporzione tra violenza agita e violenza punita oggi in Russia. Da un lato c’è la palese inoffensività dell’azione delle Pussy Riot e, dall’altro, la severità della pena inevitabilmente comminata dal potere. È un fatto che l’esibizione delle Pussy Riot sia stata perfettamente innocua – non solo dal punto di vista dell’incolumità delle persone coinvolte, ma perfino per il testo della canzone (che, per quanto irriverente, è pur sempre una preghiera alla Madonna*). Ma poteva forse il sistema politico russo permettere che la giustizia rilasciasse le colpevoli, colte in flagranza di “reato”? No. Per questo Putin non poteva che perdere. Se le ragazze fossero state rilasciate, per la debolezza mostrata nei confronti dell’opinione pubblica occidentale (sul fronte domestico le cose erano andate diversamente: il 43% dei russi avrebbe desiderato per le Pussy Riot la pena massima, sette anni). Se non fossero state rilasciate, per l’evidenza con cui si sarebbe dimostrato al mondo l’autoritarismo e la repressione attivi in Russia oggi. Perciò tanto più le Pussy Riot sono indifese e miti prede del potere costituito, tanto più incarnano ciò che vogliono mostrare. In questo sta la ragione del successo della loro azione,  che è da considerarsi un tutt’uno, dall’irruzione nella cattedrale fino al processo, e alla condanna.

Così – complice la mobilitazione di Amnesty, di varie star musicali e di un movimento di opinione globale – finisce sulle prime pagine di tutto il mondo l’immagine di tre docili e giovani ragazze in gabbia (di cui due, come nessuno ha mancato di far notare, sono pure giovani mamme). In gabbia come fossero feroci terroriste. Mentre hanno solo cantato una canzone. Allora in questo quadro, chi agisce la violenza? e chi la subisce? Esclusi integralisti religiosi, feticisti di ordine e disciplina e qualche sessista (“ma se solo una delle tre è gnocca”, sic, citato qui), la risposta è evidente. A esercitare la violenza è lo stato, a subirla sono le Pussy Riot.

Come osserva Slavoj Žižek [traduzione italiana qui, articolo originale qui]:

“[…] la vera bestemmia è l’accusa dello stato in quanto tale, configurando come reato di vilipendio della religione qualcosa che era chiaramente un atto politico di protesta contro la cricca dominante. Ricordiamo la vecchia battuta di Brecht tratta dall’Opera da tre soldi: ‘Cos’è la rapina di una banca rispetto alla fondazione di una nuova banca?’ Nel 2008, Wall Street ci ha dato la nuova versione: Cos’è è il furto di un paio di migliaia di dollari , per cui si va dritti in prigione, rispetto alle speculazioni finanziarie che privano decine di milioni di persone delle loro case e dei loro risparmi, e vengono poi ricompensate con aiuti di stato di grandezza sublime? Ora, abbiamo avuto un’altra versione dalla Russia, dal potere dello stato: Che cosa è una modesta provocazione oscena delle Pussy Riot in una chiesa rispetto all’accusa contro le Pussy Riot, questa gigantesca provocazione oscena dell’apparato statale, che irride ogni nozione di rispetto della legge e dell’ordine?”

Credo che ci sia almeno una obiezione possibile contro questa interpretazione, secondo la quale le Pussy Riot si espongono alla violenza dello stato allo scopo di mostrarla. L’obiezione è quella di chi si ritiene insoddisfatto dal punto di vista dei modi della protesta: in fondo, l’esibizione nella cattedrale ricorda più una pagliacciata che una vera e propria azione politica. Ma questo, credo, non dovrebbe ingannare sulla scelta di martirio (certo, solo parziale) che Nadezhda, Maria e Yekaterina stanno affrontando. Queste donne hanno scelto di correre il rischio di sacrificare parte della propria vita in prigione al solo scopo di perseguire un fine politico, ossia l’espressione di una protesta contro i poteri (statale, clericale) sotto i quali vivono. E questo senza avere alcuna certezza a priori rispetto all’attenzione globale di cui sarebbero state oggetto. Per quanto ne sapevano loro al momento della prima nota della canzone, avrebbero potuto finire in prigione per sette anni senza che nessuno le notasse. Chi le critica, avrebbe ora lo stesso coraggio?

(*) La traduzione italiana del testo della “preghiera punk” delle Pussy Riot:

Madre di Dio, Vergine, caccia via Putin! caccia Putin, caccia Putin!

Sottana nera, spalline dorate. Tutti i parrocchiani strisciano inchinandosi. Il fantasma della libertà è nel cielo. Gli omosessuali vengono mandati in Siberia in catene. Il capo del Kgb è il più santo dei santi. Manda chi protesta in prigione. Per non addolorare il santo dei santi le donne devono partorire e amare.

Spazzatura, spazzatura, spazzatura del Signore. Spazzatura, spazzatura, spazzatura del Signore. Madre di Dio, Vergine, diventa femminista! Diventa femminista, diventa femminista!

Inni in chiesa per leader marci, una crociata di nere limousine. Il prete viene oggi nella tua scuola. Vai in classe, portagli il denaro. Il Patriarca crede in Putin. Quel cane dovrebbe piuttosto credere in Dio. La cintura della Vergine Maria non impedisce le manifestazioni. La Vergine Maria è con noi manifestanti!

Madre di Dio, Vergine, caccia via Putin, caccia via Putin!, caccia via Putin!

5 commenti
  1. 21 agosto 2012 00:12

    Volevo solamente porre all’attenzione dell’autrice di questo bell’articolo, Chiara Melloni, una semplice considerazione. Chi scrive è l’autore dell’articolo che hai linkato e bollato molto argutamente come “sessista”. In seguito a quanto ho scritto ho ricevuto adesioni, complimenti e anche molte critiche, che preferisco ai primi, soprattutto quando sono costruttive, strutturate ed intelligenti. Quello che non accetto è la superficialità, il giudizio banale e gratuito, come ad esempio il tuo.

    Lungi da me chiedere di rimuovere il link (del resto non è questo il mio modo di agire), qualsiasi persona dotata di spirito ed intelligenza capisce che l’articolo che hai voluto prendere in causa e liquidare in un secondo comunica ben altri contenuti e soprattutto esprime dei toni in questo caso completamente travisati. Tuttavia mi permetto di darti un consiglio da pari a pari: il web e il mondo della comunicazione in generale è già troppo intasato di pressapochismo, di giudizi affrettati, di approssimazioni gratuite. Per queste ragioni forse sarebbe meglio non solo ostentare spirito critico, ma farne un buon uso (altrimenti ci si comporta come i soliti organi mainstream, grigi e strumentalizzati). Anche in segno di rispetto per se stessi, per i propri lettori e per le persone che si vogliono chiamare in causa.

    Del resto i blog servono anche a questo: esprimere opinioni e nel caso confutarle (attraverso lo strumento dei commenti, ad esempio). Lasciamo certi comportamenti a fronti d’opinione che più hanno a che fare con certe schiere di bigotti, leghisti & Co che a delle femministe raziocinanti.

    Buona fortuna.

    • 21 agosto 2012 15:51

      L’esegesi del tuo articolo qui non era il mio scopo perciò non capisco quale sia il problema se ne ho considerato solo una parte. Nemmeno così ininfluente peraltro, dato che era uno dei punti del tuo “decalogo”. Il punto sette: “«Non capisco tutto questo clamore a proposito delle Pussy Riot. Solo una delle tre è gnocca». Cito le parole di un amico che tiene a non esser nominato. Lo stesso pensiero lo deve aver avuto Playboy. E milioni di altri maschietti in giro per il mondo“. E’ una frase sessista. Tu l’avrai trovata ironica, divertente, spiritosa o chissà cos’altro, ma questo non toglie che si tratti di una frase sessista. Riduce i soggetti di una azione (artistica, politica, mediatica, ecc.) a oggetti dal solo valore sessuale, e questo viene accettato solo in quanto questi soggetti sono donne. Il “giudizio banale” e “pressapochistico” è quello di chi si permette di valutare una vicenda politica riducendola a parametri sessuali? o quello di chi fa notare che questo tipo di valutazioni non c’entra? Perciò l’attenzione parziale da me data al tuo articolo non c’entra (nota che potrai risponderti la stessa cosa, dato che consideri l’articolo qui sopra solo per le poche parole che riguardano questo punto), c’entra invece il sessismo della frase che hai scelto di riportare.

      • 25 agosto 2012 17:29

        la frase è un po sessista , comunque riguardo alle pussy se la loro pena ti sembra eccessiva pensa che in Inghilterra possono dare fino a 6 anni se un negoziante di videogiochi da un gioco con il limite d’ eta ad un minorenne con un eta inferiore.

  2. 21 agosto 2012 02:10

    bell’articolo, grazie

  3. Mary permalink
    27 agosto 2012 21:37

    Reblogged this on Un altro genere di comunicazione.

I commenti sono chiusi.