Vai al contenuto

Confessioni di un “oppressore”

1 agosto 2012

Brendan Monroe, It Began Inside

Scrivo questo articolo dopo più di un anno che con Femminile Plurale avevo deciso di affrontare la questione femminile, per l’appunto, da un punto di vista maschile. Lo preciso perché questo tempo è dovuto necessariamente passare per permettermi di mettere a fuoco la questione senza cadere nella banalità della tolleranza o delle quote rosa. Sono un maschio bianco eterosessuale attorno ai trent’anni, lavoro, ho una compagna, sono economicamente indipendente. Ho tutte quelle caratteristiche che dovrebbero fare di me un perfetto predatore, un capobranco, un uomo che sostanzialmente non vive sulla sua pelle alcuna discriminazione e anzi, in linea teorica, è colui che mette in atto e gode dei più ampi privilegi sociali nel nostro paese. Eppure, nonostante tutto questo, provo un profondo disagio ad interpretare il ruolo che mi è stato assegnato e per cui sono stato educato, ad accettare che dire la mia sulla questione di genere voglia dire ricordarsi di mettere quote rosa un po’ dappertutto (salvo poi decidere sempre e solo tra uomini), riempire le mie mail di asterischi o ricordarmi di usare anche il femminile quando mi riferisco per iscritto a un gruppo di persone. Ecco, penso che la questione sia leggermente più complessa (anche dal punto di vista linguistico) e vada affrontata cercando di capire anche l’altra metà del cielo.

Per questo l’unico strumento teorico che mi sembra reggere per analizzare questa situazione è il concetto di violenza simbolica di Pierre Bourdieu, per il quale la violenza simbolica è quella violenza dolce “esercitata non con la diretta azione fisica, ma con l’imposizione di una visione del mondo, dei ruoli sociali, delle categorie cognitive, delle strutture mentali attraverso cui viene percepito e pensato il mondo, da parte di soggetti dominanti verso soggetti dominati.”

Declinando il concetto sulla dominazione maschio-femmina il sociologo francese dice:

“Penso che la violenza simbolica si eserciti con la complicità di strutture cognitive che non sono consce, che sono delle strutture profondamente incorporate, le quali – per esempio, nel caso della dominazione maschile – si apprendono attraverso la maniera di comportarsi, la maniera di sedersi – gli uomini non si siedono come le donne, per esempio. Ci sono molti studi di questo tipo: sulle maniere di parlare, sulle maniere di gesticolare, sulle maniere di guardare [a seconda dei sessi, e dei ceti sociali]. Nella maggior parte delle società, si insegna alle donne ad abbassare gli occhi quando sono guardate, per esempio. Dunque, attraverso questi apprendimenti corporei, vengono insegnate delle strutture, delle opposizioni tra l’ alto e il basso, tra il diritto e il curvo. Il diritto evidentemente è maschile, tutta la morale dell’ onore delle società mediterranee si riassume nella parola “diritto” o “dritto”: “tieniti dritto” vuol dire “sii un uomo d’ onore, guarda dritto in faccia, fai fronte, guarda nel viso”; la parola “fronte” è assolutamente centrale, come in “far fronte a”. In altri termini, attraverso delle strutture linguistiche che sono, allo stesso tempo, strutture corporali, si inculcano delle categorie di percezione, di apprezzamento, di valutazione, e allo stesso tempo dei principi di azione sui quali si basano le azioni, le ingiunzioni simboliche: le ingiunzioni del sistema di insegnamento, dell’ ordine maschile, ecc. Dunque, è sempre grazie a questa sorta di complicità [che l’ ordine si impone]…”.

Per tagliare corto sull’aspetto più teorico della questione, che comunque va indagato, come si viene educati a questo essere “dritti”? Come si cresce da maschi eterosessuali? Quale educazione sentimentale viene data?

Quello che sino ad ora sono riuscito a focalizzare è:

1. Apprendimento a polarizzare il giudizio sul mondo femminile e sulla sessualità in genere sull’asse puro/impuro. Da qui le mamme/spose/amanti ideali si contrappongono alle puttane in genere, che poi si declinano in vario modo. È importante notare come la relazione col sesso femminile in ambedue i casi sia comunque negata dato che il giudizio su di esso è sempre aprioristico.

2. Apprendimento del comportamento sessuale tramite la pornografia. Praticamente la quasi totalità dei maschi apprende i comportamenti sessuali tramite un’esposizione massicia a materiale pornografico che, in una società che nega l’educazione sessuale come materia scolastica, sono il primo e molto spesso unico modello anche banalmente pratico. Il mondo della pornografia, essendo in gran misura un mercato, tende a spettacolarizzare e ad estremizzare i comportamenti così da renderli più appetibili ai suoi pubblici.

3. Competizione intragenere. La sessualità, l’amore e il rapporto con il sesso femminile è quasi sempre vissuto in un contesto competitivo. L’importante sembra sempre essere “il più…” in qualcosa: il più bello, il più simpatico, il più intelligente o semplicemente quello col pene e le prestazioni più lunghe. Lo stigma di genere si semplifica proprio qui: avere un pene corto e/o un’eiaculazione precoce rappresentano il terrore di tutti i maschi.

4. Omofobia. Le forme di amore omossessuale sono fortemente stigmatizzate sin dalla più tenera età. Tra amici ci si offende per scherzo chiamandosi “frocio”, “finocchio”, “culattone” così tanto che nell’età adulta questi modi di dire sono difficilmente controllabili. Peggio ancora per quanto riguarda il riconoscimento dell’amore tra donne, il quale può inquadrarsi quasi sempre solo ed esclusivamente in un ménage à trois in cui l’uomo è, come sempre, padrone. Per le lesbiche nel senso comune maschile è prevista semplicemente la non esistenza.

5. Possesso della donna. In questo quadro il rapporto con la donna è fortemente segnato dal verbo avere: “ho un moglie”, “ho una ragazza”, “farò di tutto per riaverti”, “sei mia”, “l’ho posseduta” sono solo alcune forme linguistiche che chiariscono molto più di tante analisi a quale tipo di rapporto sia educato l’uomo. La donna “si ha” e se è negata è legittimo toglierle la vita, romperla come un oggetto. Questo approccio deviato al rapporto con l’altro è socialmente accettato tant’è che l’omicidio passionale è solitamente visto come un eccesso di amore che sfocia nella pazzia.

Brendan Monroe, Headache

I tratti sopra descritti rappresentano certamente solo un’analisi parziale del problema ma sono i modelli culturali che a mio parere maggiormente influenzano la vita di un uomo. È importante capire che questi comportamenti non sono “naturali” e “inevitabili” (giustificazioni tipiche di chi esercita una forma di violenza simbolica in un campo) ma congiunturali e socialmente determinati. L’uomo non vive serenamente questa educazione sentimentale sessocentrica e anzi la via dell’amore e dell’accettazione della propria sessualità è costellata di immani sofferenze e di tremende paure. È, per tornare a Bourdieu, il dominante che subisce la sua stessa dominazione, la sua stessa violenza, il suo stesso potere.

È arrivato il momento di affrontare con serenità e pazienza questo sistema di valori negativi che generano solamente l’infelicità delle persone, partendo dal fatto che la questione femminile si risolve solo se si risolve anche quella maschile, perché le soluzioni, i superamenti e le rivoluzioni o si fanno insieme o non si fanno. Solo così potremo sperare di lasciare ai nostri figli una società migliore e più felice e non solamente una finta rivoluzione sessuale.

(Per l’intervista completa a Bourdieu: http://www.emsf.rai.it/interviste/interviste.asp?d=388#4)

35 commenti
  1. 1 agosto 2012 08:54

    Reblogged this on Womenoclock.

  2. 1 agosto 2012 13:33

    Articolo lucidissimo, che mi sembra metta in luce nodi essenziali. Bourdieau per me è un baluardo, un punto di riferimento irrinunciabile. L’unione di uomini e donne antipatriarcali è veramente indispensabile per trasformare la società e combattere le gabbie della cultura dominante. Complimenti!

  3. luciana permalink
    1 agosto 2012 17:12

    A proposito di Bourdieau, sembra che il dominio maschile si possa perpetuare ( senza dubbi con cambiamenti ma molto minori di quanto si pensi) perchè l’ambito simbolico (col suo mercato di beni simbolici) è un ambito a sè ed è un bene commerciale di grande valore .
    Questo simbolico viene accettato anche dalla maggioranza di noi donne (forse credendolo anche nostro) e che fra le altre cose fa si che siamo “percepite” nel mondo
    ..il nostro essere sociale è ancora un essere” percepito”.. con quel che ne consegue per il nostro corpo.. le gabbie della cultura dominante si apriranno perchè le donne consapevoli di ciò sono tantissime ..
    L’articolo è molto interessante, complimenti.

  4. 1 agosto 2012 21:51

    complimenti per la lucida, puntuale, analisi…ci sono tanti spunti…bello!

  5. Paolo1984 permalink
    1 agosto 2012 22:25

    Si dice anche ho un marito, ho un ragazzo e farò di tutto per riaverlo..non c’è nulla di violento i due persone che si amano e sentono di appartenersi reciprocamente….quanto alla preoccupazione dell’eiaculazione precoce quella deriva dalla paura di non saper rendere felice la propria compagna a letto, non c’è nulla di egoistico..anche perchè un rapporto che dura trenta secondi non è proprio il massimo della felicità..poi ci saranno anche donne a cui piace, non so. Se devo basarmi sul concetto di violenza simbolica qui declinato se ne dovrebbe concludere che il 99% dei maschi è violento e prevaricatore in ogni suo singolo atto e questa non è la verità
    Non è chiedendo scusa perchè si dice” mia moglie” o perchè si hanno certe fantasie su un menage a trois con due donne (ma che c’è di male ad avere fantasie erotiche? Le donne non le hanno?) che miglioreremo la situazione.
    Trovo questa analisi profondamente debole (ed è un giudizio molto generoso) come qusi tutte le analisi sociologiche che pretendono di spiegare le relazioni tra i sessi e la violenza maschile sulle donne

    • Paolo1984 permalink
      1 agosto 2012 22:38

      quanto alla famosa “competitività” (che non è solo maschile)..non è sempre e comunque un valore negativo quando non diventa distruttiva ed ossessiva (un discorso analogo può essere fatto per la gelosia)

  6. 2 agosto 2012 00:04

    Paolo, portiamo molta pazienza con il tuo qualunquismo e la tua superficialità: talvolta però sei davvero intollerabile. Se una volta – una – avessi una tua analisi (di una qualche complessità) da proporre e da discutere, sarei incredula ma sarebbe comunque una sorpresa positiva. Sappi che hai ancora accesso a questo blog soltanto per “merito” di soggetti ben più irritanti ai quali – purtroppo? – abbiamo dato spazio. Datti una regolata. E risparmia i giudizi sommari e non argomentati sulle analisi di qualcuno che, prima di scrivere, studia. Per non parlare di Bordieu, per rispetto della cui statura intellettuale sia io che te dovremmo semplicemente tacere.

    • Paolo1984 permalink
      2 agosto 2012 10:01

      vi ringrazio per la vostra pazienza ma mantengo le mie critiche. Invece il primo punto (quello sull’asse puro/impuro) mi pare interessante: la visione maschile per cui da una parte c’è la compagna “ufficiale” con cui certe cose a letto non si possono neanche nominare e dall’altra ci sono le “puttane” con cui invece si possono fare è deleteria. Sono convinto che si ci fosse più dialogo all’interno delle coppie, gli uomini sposati che vanno con le prostitute diminuirebbero

      • luciana permalink
        2 agosto 2012 13:52

        ..Valentina, lascia perdere con Paolo non c’è speranza.. io mi chiedo invece a quando una bella analisi sul pensiero di Carla Lonzi ? da tempo penso che sarà una donna del futuro (non siamo ancora pronte??)

  7. Ilaria Durigon permalink*
    2 agosto 2012 07:44

    Anche io volevo unirmi ai complimenti per il bel post di Nicola. Un’analisi attenta dell’importante testo di Bourdieu, analisi che non solo dimostra intelligenza ma anche voglia di capire e di mettersi in discussione. Il meccanismo su cui si costruisce la dicotomia maschile/femminile rappresenta una prigione sia per i dominanti che per i dominati. Ecco perchè non basta che le donne prendano coscienza di esso, ma tutti dovrebbero sentirsi chiamati in causa dall’appello di Bourdieu sulla necessità di agire sulle strutture della dominazione, modificazione che si realizza solo per mezzo della modifica e del cambiamento in quei comportamenti che non sono altro che l’ incorporazione di quelle strutture stesse.

    • aaaaaaaaa permalink
      3 agosto 2012 18:15

      l’articolo sull’invidia penis a quando?

      • Nadia permalink
        23 agosto 2012 09:53

        Quando si Farà anche un bell articolo sulla grande rimozione Dell invidia della vagina

  8. lucrezia permalink
    2 agosto 2012 10:51

    Ottimo articolo!

  9. 2 agosto 2012 11:13

    Ma capite cosa sta insinuando il troll? Insinua e quindi cerca di far passare in modo subliminale (ripetizioni continue di apparenti banalità in tutti i blog femministi e non solo: controllate, è ovunque, che lavoro fa?) che la ragione per cui i maschi cercano il sesso a pagamento è nella mancanza di dialogo, e, secondo voi, a chi viene imputata quella mancanza? Agli uomini? No, a tutti e due, dirà il troll, mentre si sa benissimo che per un sottile gioco induttivo, fondato sulla misoginia, la colpa dei comportamenti dei maschi è delle madri (la psicanalisi tutta – da Freud a Jung a Lacan – si regge per gran parte su questo assunto talora esplicitato ma non svelato nella sua vera ragion d’essere).
    Altro che qualunquismo…

    • Paolo1984 permalink
      2 agosto 2012 11:43

      Io accetto tutto, ma non che una persona che manco mi conosce pretenda di sapere quello che penso meglio di me.La “colpa” della mancanza di dialogo è delle proprie inibizioni, maschili in questo caso, e che certo sono il portato dell’educazione ricevuta ma spesso è un’educazione condivisa da entrambe le figure genitoriali. Non è mia abitudine attribuire colpe a qualcuno in base al sesso nè fare le liste dei buoni e dei cattivi

      • Paolo1984 permalink
        2 agosto 2012 11:50

        che poi un genitore, con la sua presenza ma anche con la sua assenza, possa influenzare il comportamento del figlio mi pare indubbio. Questo però non giustifica nulla: un adulto è comunque responsabile di come si comporta

    • 3 agosto 2012 11:48

      Si può essere d’accordo che le sue repliche spesso manchino il punto, ma Paolo1984 non è un troll, anzi, è presente (e interessato) nella maggior parte dei blog du genere.

  10. rita permalink
    2 agosto 2012 14:15

    valentina ricci, luciana, miriam, complimenti per i vostri toni dialoganti, la vostra tolleranza, gli argomenti originalissimi e mai sentiti, ad esempio come “i solito troll” …
    siete delle grandi, davvero, è un piacere leggervi!

  11. rita permalink
    2 agosto 2012 14:17

    … oltre ai banalotti, che mestiere faranno quelli che lasciano (anche tanti) commenti intelligenti…?

  12. 2 agosto 2012 15:05

    rispetto al “come si cresce da maschi eterosessuali?”, rimanderei ad alcune pagine illuminanti di adrienne rich (in nato di donna)

  13. 2 agosto 2012 15:07

    Complimenti all’autore per questa limpida ed essenziale analisi, oltreché per la sintesi efficace del pensiero del grande Bordieu.
    Condivido il desiderio forte e “urgente” di dire “Basta violenza” non più solo da donna a donna, ma – insieme a uomini altrettanto disposti a mettersi in gioco guardando dentro alla questione maschile – anche da donne-e-uomini a.. donne, uomini e bambini/e.
    Vorrei che i molti uomini capaci di questo prendessero più spesso voce e ci fossero accanto ogni volta che affrontiamo la questione “genere”, considerando “loro” la questione e non più per semplice solidarietà.

    Accadrà.
    Comincia ad accadere.

  14. paolam permalink
    2 agosto 2012 18:00

    Anch’io sono molto contenta che qualche uomo consapevole cominci a manifestarsi, e speriamo che l’esempio sia efficace, è possible che uomini consapevoli ve ne siano di più di quel che sembra, appalesatevi, grazie.

  15. 2 agosto 2012 20:47

    Mi piace molto questo post, complimenti. Mi piacciono anche i due disegni scelti: le parole infatti spesso dicono meno di quanto non facciano le immagini, che sono sempre infinitamente evocative e tendono ad unire piuttosto che a separare (come avviene per esempio nei commenti).

  16. 4 agosto 2012 08:01

    Eppure c’è qualcos’altro. La violenza simbolica esiste, ci lega e ci plasma senza che ce ne accorgiamo; ma è una costruzione “mentale”. C’è qualcosa di più, dietro, se questa “violenza” la ritroviamo, spostandoci nel tempo e nello spazio, quasi dappertutto. E’ possibile che questa “violenza simbolica” sia una degenerazione del “simbolo”, che in sé è la tensione verso la ricomposizione e l’armonizzazione di tutti gli opposti? E’ possibile che, andando più indietro di ciò che le nostre costruzioni forzate ci suggeriscono, esistano degli Archetipi, come suppone Jung, che, ben al di là delle differenze di genere, ci aiutino a realizzare la nostra complessa individuazione? Maschile e Femminile sono condizioni del corpo, ma prima ancora lo sono della nostra interiorità. Assoggettare, dominare, possedere, equivale a negare la nostra individuazione. Il nostro modo di comportarci con l’altro consente di visualizzare il rapporto che abbiamo con la nostra interiorità, e quindi riuscire ad acquisire uno sguardo “obiettivo” ci consentirebbe di crescere.
    Ogni tipo di violenza, ogni tipo di possesso, ogni tipo di giudizio rigido e aprioristico esprimono la gravità dello stato di emergenza in cui ci troviamo.

    • Paolo1984 permalink
      4 agosto 2012 09:21

      ok, io rivendico solo le mie perplessità ogni volta che la sociologia affronta questi temi. A questo mondo c’è persino chi dubita della medicina “ufficiale” o la rifiuta, avere dei dubbi sulle analisi sociologiche dovrebbe essere altrettanto legittimo

  17. 4 agosto 2012 13:27

    Caro Paolo, poichè sei il commentatore più lontano dalle mie idee è con te che mi interessa dialogare. Perchè ho molto apprezzato il post e soprattutto il concetto che ci sia una violenza simbolica che si annida dietro frasi, atteggiamenti e abitudini considerate “normali”. Volevo capire: sei d’accordo su questo? e, se sì, puoi provare a individuare alcuni di questi luoghi comuni?
    Io confesso che solo dopo essere diventata mamma ho avuto consapevolezza della violenza simbolica di cui mi sento destinataria, talvolta anche vittima. Nelle opinioni diffuse sul ruolo della mamma mi sono sentita spesso schiacciata dalla pesantezza di compiti, caratteristiche, addirittura desideri e aspettative in cui non mi trovo affatto. Non sempre sono così evidenti come quelli di un suocero che per fare un complimento dice che non c’è niente da fare ma una casa senza una donna non può essere mai veramente pulita. Secondo te, dunque, dove si annidano questi luoghi comuni da sfatare?

    • miriam permalink
      5 agosto 2012 08:45

      Risponderà con delle banalità -sono il suo forte- il cui culmine consiste nel descrivere una società auspicabile ma densa di altrettanti luoghi comuni conformi ad una concezione paritaria: l’idillio di uomini e donne che si usano reciprocamente sorvolando colpevolmente sul fatto che una vera libertà non prevede l’uso di nessuno – e dirà: dove mai ho detto che è legittimo usarsi? -. Continui muri di gomma eretti a sostegno di una banalizzazione totale del dibattito neofemminista nei cui contenuti ha faticato un po’ per entrare ma di fatto conquistando la fiducia di molte dipingendosi come un ragazzetto che non ha mai avuto rapporti sessuali e che per questo ha ancora la forza di immaginarli nella loro dimensione ideale. Un ideale che semplicemente ribalta il patriarcato secondo una visione della parità che oggi fa molto comodo agli uomini soprattutto per contrastare la tendenza dei giudici ad agevolare le donne nelle separazioni. Agevolazioni che a volte ci sono ma non certo perché si vuole riparare allo svantaggio storico subito dalle donne, anzi, per ricacciarle ancora di più nel ruolo voluto dal patriarcato in base al quale la libertà femminile si deve regolare in considerazione delle forte limitazioni imposte dai ruoli tradizionali.
      E che fa, Paolo 84, per inserirsi nel dibattito? Non si inserisce semplicemente, si insinua e insinua riportando il discorso lì dove sa di instillare dubbi sottili. Prendete il suo ultimo commento: chi di noi, femministe, non è d’accordo nel dire che la medicina ufficiale non è favorevole alle donne – tanto da configurare la necessità di una medicina di genere -?. Nessuna credo e d è su questo che egli fa leva per formulare una coppia di elementi interni ad un solo concetto: tutto è criticabile e, dunque, anche Bordieau che, da uomo, ha formulato un postulato interessante più per le donne che per gli uomini, se così possiamo dire. Ed è proprio alle basi che egli scava per eroderle. Cosa si ottiene dicendo che la tesi di Bordieau non è valida? E, soprattutto senza andare al fondo di tale tesi, adducendo sciocchezze per contrastarla e, fra poco, portando l’esempio di qualche bel film che starebbe lì a fagiolo per dimostrarne l’inutilità. Si ottiene che la violenza simbolica non esiste o come concetto non è utile per analizzare il fenomeno della violenza maschile, la quale apparirà un semplice incidente di percorso in una società che avrebbe appena debordato nel privilegiare i maschi. Al suo fianco i negazionisti che fanno il lavoro sporco mentre lui si occupa di rendere fragile il dibattito, di farlo incagliare di continuo sui fondamentali mediante reiterate banalità. Lui si pone al fianco della difesa della 194 ma dobbiamo fidarci di questi uomini ai quali fa molto comodo che ad abortire tocchi alle donne mentre loro non si preoccupano affatto di fare una ricerca scientifica seria sulla contraccezione maschile? Pian pianino lavorano per conquistare la nostra fiducia fingendosi al nostro fianco nelle battaglie sulla difesa dell’autodeterminazione, quando la battaglia vera, dalla quale si tengono lontanissimi, sarebbe quella di capire come mai una legge non preveda l’assunzione di responsabilità da parte maschile nelle scelte legate all’aborto e ci abbia fatte accontentare del fatto che quelle scelte restano tutte a nostro carico mentre a concepire un embrione siamo in due. Ma di protestare contro la loro esclusione per via di quella legge, gli uomini, se ne guardano bene. E così abbiamo una miriade di paolimillenoventottantaquattro che si presentano come civilissimi compagni di lotta mentre sono dei furboni interessati al mantenimento dello status quo, e che per questo obietti vo lavorano di fino. Poi, può anche darsi che lui non sia nemmeno consapevole di quello che sta facendo ma la cosa sarebbe ancor più grave perché starebbe a dire che la cultura della violenza simbolica e materiale contro le donne ha intessuto le fibre di questi paladini-amici delle donne che girano per i blog a dire che male c’è a usare il corpo delle donne? Usate/usiamo anche il nostro purché nulla o molto poco realmente cambi.
      Si difenderà con poco, dirà che non è vero niente, che lui non intendeva, che lui è d’accordo, che…

      • Paolo1984 permalink
        5 agosto 2012 09:47

        Miriam, forse è inutile risponderti dato che sei convinta di avermi inquadrato perfettamente, mi hai già processato ed emesso l’insindacabile sentenza, sei in grado di prevedere addirittura cosa risponderò. Ci tengo a dire però che io non mi dipingo affatto come un ragazzetto che non ha mai avuto rapporti sessuali, lo sono purtroppo. Comunque sia, io non sono il paladino di nessuno, non sono amico delle donne e neanche degli uomini, sono amico delle cose in cui credo (e credo che nessuna scelta sul proprio corpo o nessun desiderio possa essere giudicata “a priori” meno libera o meno autentica di un’altra), esprimo solo le mie idee, non ti piacciono? Va bene ma evita di giudicarmi, tu non mi conosci e io non conosco te. Sulla 194, mi sono espresso più volte chiaramente: l’ultima parola spetta alla donna per l’ovvio motivo che nessuna gravidanza può essere portata avanti senza il consenso di lei, ciò non significa che l’uomo deve stare zitto, significa che deve accettare la decisione di lei. Tra l’altro non mi sono mai espresso contro la contraccezione maschile, spero che la ricerca vada avanti in questo campo. Ogni coppia,ogni persona ha il diritto di scegliersi il metodo anticoncezionale più adatto a sè, al proprio organismo (magari consultandosi col proprio medico)

    • Paolo1984 permalink
      5 agosto 2012 09:32

      X Raffaella

      Come ho detto, il concetto di violenza simbolica declinato nel post non mi convince affatto. La semplice frase “ho una moglie” non è violenza (non più di ho un marito). Nè le fantasie erotiche possono essere considerate violenza se non costringi con la forza oppure drogandolo a sua insaputa, qualcuno non consenziente a metterle in pratica. Ciò che conta, più delle parole che si usano, è l’intenzione e lo spirito con cui le si pronuncia…trovo che a volte ci si concentri sul linguaggio fino a sfiorare il ridicolo…si spacca il capello in quattro spesso inutilmente.
      Quanto a tuo suocero, e alle aspettative da cui ti senti schiacciata, non è questione di parole o frasi, è questione di una mentalità, diciamo “tradizionale” che è condivisa da alcuni uomini e alcune donne (ad esempio tuo suocero) e non condivisa da altri (ad esempio te),..quando persone che hanno una mentalità diversa dalla nostra giudicano negativamente i nostri comportamenti o si sentono investiti dal sacro dovere di insegnarci cosa sarebbe giusto per noi o per i nostri figli mi pare normale provare fastidio e sentirsi vittime di indebite intrusioni nella nostra vita privata, affettiva, sentimentale, genitoriale, e nelle nostre scelte. Tra l’altro questa tendenza ad esprimere giudizi del cavolo sulla vita privata altrui non è una esclusiva dei “conservatori” ma riguarda anche i “progressisti” (uso queste categorie per farmi capire poi ci sono infinite sfumature e complessità, lo so). Secondo me si possono avere tutte le opinioni che si vogliono e le mentalità che si vogliono (certo se le nostre convinzioni personali giustificano dei reati penali, allora è il caso di cambiarle), e si possono esprimere, ma senza imporle a chi vuole vivere in maniera diversa da ciò che la nostra mentalità ritiene giusto
      Tuo suocero è evidentemente una persona che ha una mentalità tradizionalista su quelli che sarebbero i “compiti” di una donna,idee che hanno a che fare col modo in cui è cresciuto, le consuetudini,ecc..una mentalità che tu e nemmeno io condividiamo..ma basta questo a fare di lui un “violento” (simbolico o meno)? Credo di no, è uno con una mentalità antiquata almeno su certe cose.
      Se posso concludere con un piccolo consiglio, quando qualcuno, tra amici e conoscenti, cerca di farti sentire “inadeguata” solo perchè non vuoi o non puoi fare tutto ciò che di solito ci si aspetta 8o che loro si aspettano) da una madre tu non ti fare problemi a rispondergli che loro possono darti tutti i consigli che vogliono ma non importi il loro punto di vista e il manuale del genitore perfetto non esiste, tutti commettono errori con i figli, o per eccesso o per difetto, l’importante è amarli e rispettarli

      • Raffaella permalink
        27 agosto 2012 13:49

        Caro Paolo,
        grazie della risposta. E anche dei consigli. Tuttavia credo che per centrare il punto ci volia qualche precisazione in più. Mio suocero non è assolutamente un uomo violento, anzi è una persona deliziosa. Eppure. Eppure i suoi comportamenti “tradizionali” hanno contribuito a creare una corrente che ha già trascinato altre donne in luoghi in cui non volevano andare.. Una corrente violenta. Tu non sei ancora padre e so bene quanto sia fastidioso sentirsi dire “quando avrai figli capirai”….Eppure io alcune cose le ho capito dopo aver avuto figli e non prima. Ogni famiglia vive una vita diversa eppure molte dinamiche si ripetono e molti meccanismi uomo-donna si assomigliano. In questi meccanismi io trovo che ci sia una forma di violenza di cui come collettività ci dobbiamo fare carico. E’ necessario maturare certe consapevolezze perchè siano poi riconosciute da tutti. Pensa al mobbing, se ci vogliamo spostare su altri campi. Chi ne avrebbe parlato nel dopoguerra? Pensa anche alla violenza sui minori, chi cinquant’anni fa avrebbe messo in discussione le belle botte del capofamiglia? Pensa ancora alla questione delle famiglie omosessuali. Non pensi che tra qualche secolo certe prese di posizione saranno considerate lesive dei diritti umani?

  18. Nadia permalink
    23 agosto 2012 09:27

    Banalmente si può dire che con la violenza si può imporre qualunque cosa. Anche la visione del mondo. Se metti a tacere l’altro gli neghi la possibilità della sua visione e della sua narrazione . Forza fisica e possibilità di imporre l atto sessuale . L origine della cultura patriarcale e raccontata spesso attraverso miti che narrano di stupri vedi ratto delle sabine.

  19. Nadia permalink
    23 agosto 2012 09:40

    In conto e la differenza dei ruoli. Altra cosa e l uso della violenza per imporre una visione del mondo che rendesse rigida la di idiote dei ruoli. Due cose gli uomini hanno sempre avuto per poter usare la violenza come mantenimento del potere e controllo sulle donne : forza fisica e possibilità di imporre l atto sessusle

  20. paolam permalink
    31 agosto 2012 23:56

    Capito in coda a questi commenti dopo essermene persa molti, e trovo questi due ultimi commenti di Nadia, che mi fanno pensare: sì sembra tutto verosimile in questa sua ricostruzione delle “origini” della “cultura patriarcale”. Ma siamo sicure di poter dire quali siano state le “origini”? E’ un interrogativo non da poco. Al proposito, vi copio-incollo una mini recensione di una lettura recente di un testo non altrettanto recente, ma tuttora valido, che essendo apparsa in forma di nota al mio profilo FB non posso linkare, spero che possa interessare:
    Madri, utensili ed evoluzione umana = On Becoming Human
    Ho appena finito di leggere il saggio dell’antropologa e paleoantropologa statunitense Nancy Makepeace Tanner, intitolato On Becoming Human, edito a Cambridege nel 1981, e pubblicato in Italia nel 1985, con il titolo Madri, utensili, ed evoluzione umana, e in seguito ristampato almeno fino al 1989. Lascio alla vostra lettura della controcopertina le informazioni essenziali dell’abstract, da parte mia aggiungo alcune considerazoni personali: avevo sempre immaginato che, alle origini delle comunità umane, il fatto che le femminie della specie umana partorissero e allevassero una prole fosse stata la causa prima della loro subordinazione da parte dei maschi della specie, come se l’impegno di energie e l’investimento di tempo nell’attività di generare ed allevare avesse costituito un ostacolo, un peso, un ingombro, un impedimento, che aveva facilitato l’emarginazione delle femmine umane da tutte le altre attività, quelle poi divenute direzionali, che i maschi della specie avrebbero così facilmente riservato esclusivamente a sé stessi. Sbagliato, e niente di più sbagliato. Anch’io, come i naturalisti e gli antropologi del XIX secolo, sovrapponevo il nostro modello ad una ipotesi ricostruttiva delle origini.
    Al contrario di quanto potremmo pensare in base alla nostra esperienza, sarebbe stata proprio la cura materna della prole, e il prolungarsi di essa, la causa determinante dell’evoluzione dalle antropomorfe ancestrali verso l’ominazione. Che molte caratteristiche di queste specie antenate le condividessimo con i nostri cugini scimpanzè, mi sembrava già di saperlo, ma è fondamentalmente nuovo (anche se di trent’anni fa!) quello che possiamo ricostruire: e quello che possiamo ricostruire ci dice che le nostre specie antenate si sono evolute verso di noi perché le madri prediligevano l’andatura bipede, per portarsi incollo le creature con un braccio e per procurarsi il cibo con l’altro, e che il bisogno di procurarsi il cibo, non solo per sé stesse, ma pure per le creature, aveva aguzzato loro l’ingegno, incentivando la capacità di servirsi di utensili, che pure quelli dovevano essere trasportati, incentivo a sua volta ad usare le mani per portare e utilizzare oggetti e non più per spostarsi. E che il bisogno di conservare il cibo raccolto doveva aver prodotto l’invenzione di oggetti atti a conservarlo. E che i mutamenti della dentatura dimostrano mutamenti nella dieta, consistenti, prima, nella predilezione per vegetali coriacei, ma che più tardi indiziano l’invenzione di strumenti per trattare il cibo rendendolo più commestibile: raschiarlo, tagliarlo, spezzettarlo, etc.: insomma, leviamoci dalla testa l’orda di cacciatori che inseguono animaloni armati di asce di pietra, erano invece gruppetti non rigidamente gerarchici, ma fluidi come quelli degli scimpanzè, spesso capitanati da una femmina adulta, con figlie/i, sorelle e fratelli, compagni vari, che raccoglievano, e inventavano gli utensili per raccogliere, trasportare, trasformare il cibo. E i mutamenti ambientali sollecitavano questi mutamenti comportamentali e quindi l’adattamento genetico, e la scelta da parte delle femmine di maschi più simili a loro determinava la diminuzione del dimorfismo sessuale, cioè quella poca differenza tra femmine e maschi, rispetto ad altre specie, che ancor oggi ci contraddistingue, e tutto ciò significava che alla selezione naturale si sommava la selezione sessuale verso l’ominazione, cioè il diventare esseri umani. Ma questo ve lo spiegherà meglio l’autrice. A me piace pensare che: essere madri non è stata una palla al piede, è stata invece la causa prima dell’evoluzione dalle antropomorfe ancestrali alle specie umane, e alla nostra specie. Bello, no? se è così, non potremmo essere, oggi, ad una nuova svolta? Se, come conclude l’autrice, la cultura è la forma di adattamento delle specie umana, cioè l’attitudine che ha permesso agli esseri umani di sopravvivere e di colonizzare il pianeta, non sarà che l’attuale opportunità evolutiva di sopravvivenza potrebbe essere agita da una nuova iniziativa “culturale” delle donne? Ci piace pensarlo.

Trackbacks

  1. Confessioni di un oppressore | Maschile/Femminile
  2. Confessioni di un “oppressore” « Il Malpaese

I commenti sono chiusi.