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Amore e violenza

2 febbraio 2012

Genealogia della violenza

Il libro di Lea Melandri Amore e violenza. Il fattore molesto della civiltà (Bollati Boringhieri 2011), è un insieme di saggi che si occupano di svariati temi, tra cui quello che fornisce il titolo al libro. Con grande lucidità e intelligenza, Lea Melandri propone un percorso volto a indagare l’intricato rapporto tra amore e violenza nelle relazioni tra i generi, in particolare nelle relazioni affettive, sentimentali e sessuali. Ma più del titolo, è il sottotitolo a rappresentare la chiave per mezzo della quale comprendere il percorso che alla lettrice e al lettore viene chiesto di intraprendere: “il fattore molesto della civiltà”, riferimento al libro di Freud “Il disagio della civiltà” del 1929.

È all’interno della “civilità” contrapposta alla natura, vanto nonché radice dello sviluppo della società occidentale, che si sono create le condizioni di possibilità dei rapporti di forza tra i generi che anche oggi vediamo in atto, e che sembra ancora così difficile superare.

Partendo da un dato biologico, ovvero l’esistenza di corpi e di corpi sessuati, si è prodotto il presupposto fondamentale per lo sviluppo della società occidentale e patriarcale, presupposto che consiste nella identificazione e riduzione della donna alla sua funzione riproduttiva:

Che senso ha parlare del corpo in termini di «proprietà»,«avere il corpo», «appropriarsi del corpo», quando in realtà siamo corpo, corpo pensante? Che cosa cambia nel momento in cui prendiamo coscienza che il corpo non è neutro ma sessuato, e che sulla diversità biologica del maschio e della femmina la storia – in quanto storia di una comunità di soli uomini – ha costruito il più duraturo dei rapporti di potere: divisione dei ruoli sessuali, esclusione delle donne dalla polis, identificazione della donna con il corpo, la natura?”

Ciò che l’uomo non possedeva e non poteva comprendere è divenuto il carcere all’interno del quale la donna ha potuto e dovuto svolgere l’unica funzione per la quale era destinata, quella riproduttiva.

Su questo sfondo si declina il tema dell’amore, come pulsione elementare (in senso freudiano) in seguito controllata ed imbrigliata dalle istituzioni.

Amore-passione che si richiama e che proviene dall’amore e dall’unione primigenia con la madre. Ma questa ricerca di amore, di rendere due individui un’unica realtà, di assorbimento l’uno nell’altro, nasconde dentro di sé un retaggio di violenza che Freud per primo intuì.

Nel Disagio della civiltà Freud si avvicina alla scoperta dell’aspetto violento che si annida nell’amore per quel retaggio preistorico che si porta dentro: la nostalgia dell’originaria unità a due”.

Ricerca di quell’unità prima e autentica, l’unica che l’essere umano (maschio e femmina) possa aspirare a provare, quella con e nel corpo materno. Nella pulsione “amore” è intrinsecamente presente anche la pulsione “violenza”.

La violenza maschile sulle donne in parte è generata anche da questo incontro tra la componente violenta dell’amore e la civiltà.

Da qui allora ha avvio l’analisi sulla violenza maschile sulle donne:

Lo stupro e l’omicidio sono forme estreme del sessismo e sarebbe un errore considerarle isolatamente, come se non fossero situate in una linea di continuità con rapporti di potere e culture patriarcali che, nonostante la costituzione, le leggi, i «valori» sbandierati della democrazia, stentano a riconoscere la donna come «persona». La donna resta – purtroppo anche nel sentire e nel modo di pensare di molte donne, per ragioni di adattamento e di sopravvivenza – una funzione sessuale e procreativa. È il corpo che assicura piacere, cure, continuità della specie. […] È importante perciò che si dica che la violabilità del corpo femminile – la sua penetrabilità e uccidibilità – non appartiene all’ordine delle pulsioni «naturali», ai raptus momentanei di follia, o alla arretratezza di costumi «barbari», stranieri, ma che sta dentro la nostra storia, greca-romana-cristiana, a cui si torna oggi a fare riferimento per differenziarla dalla presenza in Europa di altre culture. Essa fa tutt’uno con la nascita della polis, con la divisione sessuale del lavoro, con la separazione tra la casa e la città, la famiglia e lo Stato. La cancellazione della donna come persona, individualità, soggetto politico, produce inevitabilmente lo svilimento del suo corpo, l’assimilazione agli altri «corpi vili» – l’adolescente, il prigioniero, lo schiavo – su cui l’uomo ha esercitato fino alle soglie della modernità un potere sovrano di vita e di morte”.

Oltre a questo tema il libro di Lea Melandri ne analizza altri, sempre vincolati e in qualche modo legati a questo quali: il contributo del femminismo degli anni ’70 alla modificazione dello status quo prodotto dalla civiltà occidentale e il revisionismo a cui è stato immediatamente soggetto proprio dalla civilità che intendeva modificare; l’incontro-scontro con il diverso, lo straniero; un’analisi della comunità maschile e del suo tradizionale “privilegio”, conseguenza del controllo del potere.

Il libro di Lea Melandri è un viaggio, un viaggio alla scoperta dei presupposti arcaici, degli archetipi che hanno condizionato la storia sociale e culturale dell’essere umano, delle donne e degli uomini, e che hanno contribuito a costruire la società in cui viviamo oggi. Ricco di riferimenti e citazioni esso rappresenta anche una perfetta collezione bibliografica per chi volesse addentrarsi in profondità nello studio delle origini delle strutture di pensiero e di potere dell’umanità.


2 commenti
  1. paolam permalink
    2 febbraio 2012 14:55

    Già rubricato sotto “segnalibri”, grazie, aggiungiamo però una cosa che sembra implicita: questa analisi non vale soltanto per le civiltà cd. occidentali, uscite dall’esperienza greco-romana-cristiana (quindi pure vicino orientale: l’unità antica era il mediterraneo). Questa analisi vale per tutte le civiltà e le culture umane, eccezion fatta, forse, per quelle che l’etno-antropologia considera “matriarcali” (non matrilineari, che è diverso) ma delle quali non saprei dire nulla non avendole mai studiate. Questo lo preciserei, perché ogni volta dobbiamo tornare su questo concetto di “occidentale” e invece, ahinoi, per le donne tutto il mondo è paese.

    • Laura Capuzzo permalink*
      3 febbraio 2012 10:25

      Grazie per aver sottolineato questo punto che in effetti rimaneva un po’ implicito. 🙂

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