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Minority report

4 febbraio 2012

Dalla parte del torto.

Gli sgomberi ai campi rom di Castelfusano dopo l'omicidio Reggiani

Non c’è peggior nemico di una causa di chi la difende male. Questo vale anche per le questioni che riguardano le donne, e la loro immagine pubblica. Ci vuole calma, sangue freddo, voglia di usare il cervello.

Con ordine: ieri la Cassazione si è pronunciata riguardo a una legge voluta nel 2009 dal governo Berlusconi, con la quale si prevedeva che l’unica misura cautelare che il giudice poteva applicare per reati sessuali era il carcere preventivo. Nel 2010 la Corte Costituzionale sancì questa norma come incostituzionale perché contraria a diversi articoli della nostra Costituzione, tra cui il 27 che recita: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Vale la pena di far notare che si tratta di un articolo antifascista. Ieri cosa ha fatto la Cassazione? Ha esteso l’inapplicabilità della norma, già rilevata dalla Corte, dai reati di violenza sessuale alla violenza sessuale di gruppo.

Ora, i reati sessuali sono odiosi. Li condanno con tutte le mie forze il mio corpo e la mia mente. Credo che le vittime siano le vittime, appunto, e mai i colpevoli. Ritengo che il numero di donne abusate in Italia, in Europa, nel mondo sia tale da costituire un’emergenza civile planetaria. Sono convinta che vadano prese tutte le misure necessarie per debellare questo fenomeno. Ma giudico il fenomeno della violenza sulle donne culturale sociale e politico, e credo che della medesima natura debbano essere le contromisure che vengono considerate per affrontarlo. Per questa ragione sono convinta che battersi per il carcere preventivo sia un bersaglio falso se non controproducente, comodo solo per chi vuole affrontare il problema della violenza a suon di annunci bomba, castrazioni chimiche, provvedimenti securitari, chiusura dei centri storici in nome di una presunta sicurezza, disinformazione. Ma il punto del problema è un altro. Ripeto: culturale, sociale, politico.

 È il contesto in cui viviamo immersi, in cui le donne sono considerate, e pubblicizzate con i più potenti mezzi, come stupide cosine decorative a disposizione dei maschi, e se vogliamo o non vogliamo non importa, siamo oggetti, il maschio ci vuole ci prende ci domina, noi ci accontentiamo di poteri sostitutivi come la seduzione e poco altro – questo è il punto su cui lavorare, il rispetto dell’individualità, una visione “umanista” e non separatista, il sesso biologico e il genere culturale, la sessualità libera autonoma consapevole, l’educazione sessuale nelle scuole – tutto questo e molto altro, non il carcere preventivo, che comunque avviene tardi per definizione e sazia solo la sete di galera di travaglini, finti-anarchici, post-fascisti e fake-femministi che vorrebbero la ghigliottina e dimenticano che la democrazia costituzionale, con tutti i suoi difetti, è ancora il bene comune più prezioso che abbiamo.

In questo contesto culturale prendono piede fenomeni che solo all’apparenza sono a favore delle donne. Ricordiamo tutti le spedizioni punitive dopo l’omicidio Reggiani a Roma, le ruspe sui campi, Alemanno che dichiara “Si aggirano tante persone disperate che purtroppo possono essere fonte di crimini anche gravi” (quindi? carcere preventivo?), la folla inferocita che dà fuoco al campo rom a Torino dopo le accuse (rivelatesi finte, n.b.) di una ragazzina spaventata. Era giustizia quella o era violenza verso innocenti, era rivendicazione di un diritto o era piuttosto frutto della concezione secondo la quale le donne sono proprietà che i maschi devono difendere invece che soggetti autonomi titolari di diritti?

La disinformazione è pericolosa. Frasi come, e cito: “Stupro di gruppo, no all’obbligo del carcere”, “Il carcere non è l’unica e obbligatoria misura per punire chi ha commesso uno stupro di gruppo”, “Si invoca la costituzione per tirare fuori di galera uno che ha stuprato una donna” sono pericolose perché sono disinformate. Perché si avvicinano alla concezione secondo la quale le donne sono oggetti da possedere o da difendere da altri possessori. E sono pericolose perché sono fuori dallo spirito antifascista della nostra Costituzione. Il potere va sorvegliato, contenuto, arginato. Ripeto, quello che è successo è che la Cassazione ha escluso che il carcere preventivo sia l’unica misura cautelare a disposizione del giudice. Nessuno ha depenalizzato lo stupro. Nessuno ha escluso il carcere per chi venga giudicato colpevole di reati sessuali.

Poi, certo, capisco chi pensa che viviamo in un paese che osteggia le donne e che questo sia un ulteriore segnale di inimicizia da parte dello Stato.

Capisco e mi spiace dissentire: il punto, a mio modo di vedere, non sta qui. Il carcere preventivo è una misura cautelare che può essere applicata se è presente almeno una di queste tre condizioni: pericolo di fuga, pericolo di inquinamento delle prove, pericolo di ripetizione del reato. Non credo che la strada delle donne sia aggiungere a questa lista “accusa di reato odioso”. Non è con le galere che si va verso la soluzione di un problema culturale.

In sintesi: mi rifiuto di sostenere posizioni che trasformano la violenza sulle donne in un pretesto per fare far passi indietro alla democrazia. Al contrario, al contrario! Passi avanti.

12 commenti
  1. paolam permalink
    4 febbraio 2012 20:40

    Premetto che sono d’accordo con molte considerazioni, e meno con altre, ma non è questo il punto su cui vorrei attirare l’attenzione: il carcere come misura cautelare preventiva, che ci piaccia no (a me teoricamente non piace, ma riconosco che solo in uno stato meglio funzionante del nostro non sarebbe affatto necessario), è già previsto per alcuni reati, come l’associazione mafiosa (mi scuso per l’imprecisione terminologica), cioè per reati in cui i sospettati (sospettati, non riconosciuti colpevoli) siano, proprio anche grazie al loro costituire un gruppo, in grado, più che altri, sospettati di altri reati, di inquinare le eventuali prove a loro carico e di reiterare il reato con grave pericolo per le vittime. Quindi, la domanda che tutte ci siamo poste è: perché per i mafiosi associati sì, e per gli stupratori associati no? E’ questo il punto: perché due pesi e due misure?

  2. donatella permalink
    5 febbraio 2012 01:33

    Confesso che è capitato anche a me di essere stata ingannata dalle notizie circolate in fb. Notizie provenienti da persone stimate e stimabili, di quelle che a verificare ciò che postano non ci pensi nemmeno per un secondo.
    Ma a parte la provenienza della notizia ritengo ci sia dell’altro ad avermi indotto, diciamo così, in errore.
    Credo che la causa maggiore sia da imputare al clima nel quale siamo vissuti, vissute in questi anni e, per quanto mi riguarda ma sono certa che sia così per molti/e, la convinzione di non esserne affatto usciti/e. Misoginia, sessismo, maschilismo hanno lavorato a lungo sulla certezza di non vivere in un Paese che ha a cuore la sorte delle donne e che anzi ha dato scandalo in tutto il mondo per come tratta “il corpo delle donne”, più che negli altri Paesi e a partire da chi lo ha governato. L’attuale governo, inoltre, sembra non solo non preoccuparsi per la nostra sorte ma ha compiuto scelte drammaticamente penalizzanti per noi con la riforma previdenziale, per di più concepita da una donna. Mi risulta che il nostro Paese è riuscito a distinguersi per negligenza anche nella presentazione del nostro rapporto al CEDAW. Insomma la percezione che abbiamo del contesto, politico e istituzionale, credo abbia svolto un ruolo determinante nel non avere dubbi dell’essere, ancora una volta, beffeggiate dalle istituzioni.
    Per ora non entro nel merito dell’argomento.

  3. Chiara permalink
    5 febbraio 2012 02:53

    Car* tutt* io non vedo l’errore in molt* attivisti che hanno protestato e mi da anche fastidio sentire una serie di mea culpa, per che cosa poi? Io avevo capito bene che si trattava di carcere preventivo in caso di stupro di gruppo e condivido la lettura che di questo fenomeno hanno dato importanti giuriste donne. Anch’io odio il carcere, non sono giustizialista, ne’ di destra e vedo la solita strumentalizzazione di destra di temi dolorosissimi e irrisolti. La giustizia italiana non ha cura delle vittime, c’e’ il problema della certezza della pena, della lentezza dei processi ecc. Occupandomi per ricerca di strupri di gruppo contro minorenni conosco molti casi di denunce mancate proprio perché’ le ragazze-i non si sentono protette-i dalla giustizia italiana e purtroppo hanno ragione. Questa sentenza scoraggia la denuncia, mi dispiace e’ proprio così’ e io preferirei sentire la voce delle vittime invece che l’ennesimo distinguo giuridico in casi di gravita’ estrema come quello dello stupro di gruppo. Vi faccio notare poi una cosa che non ritengo corretta: i reati a sfondo sessuale non sono ‘odiosi’, la parola odioso e’ assolutamente inadeguata. Sono mostruosi sebbene normali nel senso di diffusi molto di più’ di quanto non si sappia, non sono reati da sottovalutare, sono reati della massima gravita’ sopratutto lo stupro di gruppo che e’ comunque più’ grave di quello perpetrato da un singolo aggressore. Proprio per la dinamica di potere ‘militare’ che implica, lo stupro di gruppo funziona sempre come un’esecuzione-rito di passaggio per la virilita’, il gruppo e’ di solito organizzato secondo una struttura gerarchica, c’e’ una mente-leader, poi ci sono i gregari, infine il palo. Ci sono studi approfonditi sulla conformazione del branco e il suo significato simbolico, le casistiche ovviamente non si limitano a quella che ho illustrato. Quindi sebbene ritenga giusta l’alternativa al carcere preventivo nel caso di un singolo non sono d’accordo nel caso di un gruppo (soprattutto se parliamo di minorenni, come nel caso della sentenza) perché’ il rischio di inquinamento delle prove e anche quello delle minacce che può’ ricevere la vittima e’ molto più’ alto.

    • donatella permalink
      5 febbraio 2012 11:33

      Chiara, ti ringrazio per aver argomentato con competenza e lucidità.
      Il movimento delle donne in passato si è complessivamente posizionato contro tutto quanto si proponeva di sanzionare i comportamenti violenti maschili non solo perché la violenza che ci infliggono non si cancella con una pena ma anche per dare più forza e valore al cambiamento culturale necessario in una società patriarcale. Io sono d’accordo a puntare sul lavoro da fare sulle coscienze ma vedo anche che in assenza di provvedimenti restrittivi della libertà di stuprare, perseguitare, umiliare, sottomettere le donne, la violenza maschile è in crescita e per di più avallata dal comportamento di uomini che sono nelle istituzioni. Non dimentichiamo quel sindaco che finanziò con il denaro pubblico la difesa di un gruppo di stupratori, solo due o tre anni fa. Non dimentichiamo la valenza culturale dello stupro autorizzato simbolicamente in ogni dove ma soprattutto non dimentichiamo di occuparci di noi stesse e l’una dell’altra.
      Affannarsi a negare la necessità di una misura restrittiva a mio avviso compie lo stesso errore, ribaltato, di chi grida “in galera”.
      Il fatto è che la parola di una donna non conta ancora niente, non conta la denuncia di una donna di fronte alla legge “uguale per tutti”. Uguale per chi?

  4. Chiara permalink
    5 febbraio 2012 12:07

    Grazie Donatella. E’ esattamente quello che volevo dire. E’ chiaro che il cambiamento deve essere culturale e direi che la battaglia delle donne deve concentrarsi sull’introduzione dell’educazione contro la violenza di genere obbligatoria in tutte le scuole a partire dalle elementari. Questa e’ l’arma più’ potente che abbiamo. Ma mentre costruiamo un mondo migliore ( e ancora non ci siamo riuscit*) dobbiamo tutelare le vittime. I casi di denunce mancate sono ancora moltissimi, sopratutto tra minorenni e non dimentichiamoci che ci sono donne, ma anche uomini ugualmente ridotti al silenzio dalla vergogna e dalla colpa. La giustizia italiana in questi anni ha contribuito a far sentire le vittime sole e colpevoli della loro stessa disgrazia. Non dimentichiamoci poi che lo stupro di gruppo non e’ un evento così’ raro, ma addirittura in aumento, in USA per esempio molti studiosi hanno lanciato l’allarme da tempo. Grazie Donatella anche per aver ricordato il caso del sindaco che aveva finanziato il processo ai due stupratori, di esempi analoghi purtroppo ce ne sono molti. Vorrei citare soltanto il caso di Carmela, la ragazzina di 13 anni morta suicida vittima di violenze di gruppo che non ha mai ricevuto giustizia, lei aveva denunciato, nessuno le ha mai creduto. un caro saluto a tutt*

  5. donatella permalink
    5 febbraio 2012 14:06

    Uccisa a Parma la QUATTORDICESIMA donna nel 2012.

  6. Ilaria Durigon permalink*
    6 febbraio 2012 11:01

    Mi trovi perfettamente d’accordo. Sono convinta che lo stupro sia innanzitutto un problema culturale più che ‘penale’. E mi pare che i passi avanti per risolvere questo problema non coincidano con l’ inasprimento delle pene. D’altra parte si sa che queste soluzioni sono solo degli espedienti per tenere buona l’opinione pubblica, per convincerci che si stia facendo qualcosa. Il fatto che negli Stati Uniti ci sia la pena di morte per determinati reati non ha avuto come conseguenza la diminuzione degli stessi. L’aumento delle pene non diminuisce il numero di crimini. Questo è un dato di fatto.

  7. donatella permalink
    6 febbraio 2012 11:28

    Delle volte mi sento sopraffatta all’idea del lavoro “culturale” da fare in tema di violenza contro le donne perché accanto, sopra e più forte del nostro ne è stato fatto un altro, quello che ha riproposto con una violenza inaudita la cultura che sta alla base di ciò che ci uccide, ci stupra, ci perseguita, ci fa percepire il 20% in meno dello stipendio di un maschio, solo perché maschio, ci impedisce le carriere, ci fa trovare di fronte medici che ci impongono cure distratte e spesso dannose perché intrattengono con noi relazioni di potere; ci fa lavorare molto più di qualsiasi uomo e ci fa andare in pensione, tardi, da un solo lavoro mentre ne facciamo almeno due. E non è tutto qui.
    Ma se ci azzardiamo a dire queste cose sapete che rispondono? che siamo vittimiste.

    • 6 febbraio 2012 13:20

      Grazie a Paola, Donatella e Chiara per i commenti. Immaginavo che l’accoglienza sarebbe stata questa, il titolo del post non è casuale. Soprattutto mi importa che condividiamo il medesimo scopo, cioè trovare il metodo più efficace per debellare la (odiosa, mostruosa, chiamatela come volete) violenza sulle donne. Differiamo però sui metodi. Vorrei perciò sottolineare alcuni punti sulla base dei quali, pur capendo la vostra posizione, non mi trovo d’accordo:

      -uno, ripeto che il carcere preventivo è l’ultima ratio in uno stato di diritto – e per fortuna. La nostra vita non sarebbe la stessa senza l’articolo 13 della Costituzione. Se, come dice Chiara sopra, il pericolo è quello dell’inquinamento delle prove o della reiterazione del reato, allora il giudice ha già gli strumenti in suo possesso per usare il carcere preventivo come misura cautelare, senza bisogno della legge voluta da Berlusconi.

      -Due, fino alla legge Berlusconi il giudice aveva a disposizione per i reati sessuali diverse misure cautelari, per esempio l’obbligo o il divieto di dimora, fondamentali nei casi di reati sessuali, anche quando avvengono tra le mura domestiche (come nella maggior parte dei casi, ricordiamolo). La legge Berlusconi invece limitava le possibilità di azione del giudice: se non c’erano gli estremi per il carcere, l’imputato tornava libero. Abolendo la legge Berlusconi, il giudice torna ad avere degli strumenti in più, non in meno; è più attrezzato, non il contrario.

      -Terzo – e qui vorrei il conforto di una/un giurista – perché piuttosto non lottiamo per l’equiparazione penale dei reati sessuali al tentato omicidio? Questa potrebbe essere una svolta penale che incide sul culturale – ma dove il carcere preventivo è limitato a certi casi specifici o arriva solo a seguito di un regolare processo. E non, come vorrebbero Carfagna e Mussolini, a seguito di misure costituzionicide liberticide securitarie.

      Infine, ho molta comprensione per lo sfogo di Donatella qua sopra perché credo sia una sensazione che abbiamo provato tutte – io senz’altro sì. Ma la strada dei generi è tutta da fare, e non dobbiamo lasciarci andare alla tentazione di sacrificare conquiste di altre battaglie – come quella antifascista. Non esistono scorciatoie.

      P.S. Segnalo a tutte un bellissimo articolo ripreso da FAS e pubblicato da Leila su Aut Aut Pisa: “Le risposte che cerchiamo come donne e come uomini non stanno dietro le sbarre di una prigione ma in un cambiamento sociale e politico ed è quello il terreno su cui continuare a lottare”.
      http://www.autautpisa.it/modules/news/article.php?storyid=1329

      • 7 febbraio 2012 10:57

        @Chiara rispondo sulla questione giuridica, l’omicidio tentanto non è un reato a sè. Nel senso che in Italia è punito il “delitto tentato”(art 56cp). Articolo che prevede una riduzione della pena(da 1 terzo a 2 terzi) rispetto alla pena prevista nel caso in cui il delitto si fosse realizzato. Questo articolo quindi va letto insieme all’articolo che prevede il delitto che si è tentato. (ad es l’omicidio, ma anche la violenza sessuale). Le pene per la violenza sessuale ci sono e possono anche essere alte. Detto questo a livello giuridico credo che davvero l’unico ambito per intervenire che abbia un riscontro sia quello della tutela della vittima.

        Il resto della lotta a mio avviso si gioca tutto su un altro campo. Se ogni volta che una donna muore solo perchè donna, viene violentata o altro, si levassero le proteste che si levano(giustamente) quando è un migrante a subire violenza, solo perchè migrante, allora io credo che un qualche messaggio inizierebbe a passare. Insomma credo la lotta debba partire dal basso, e con ciò mi sento di criticare i tanti/e che fanno lotta politica e che relegano le questioni di genere a questioni di secondaria importanza.

        Leila.

        • 8 febbraio 2012 18:38

          @Leila, grazie di essere intervenuta. L’articolo del codice penale di cui stiamo parlando credo sia il 609-bis:
          “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.”
          Quello che volevo dire che 5 o 10 anni mi sembrano pochi da ogni punto di vista. Lo stupro è a mio parere molto simile all’omicidio poiché la volontà/l’effetto è quella di annientare una persona (con l’aggravante che nel caso dello stupro c’è pure una vittima da tutelare, mentre nel caso dell’omicidio ovviamente non è così). Ora, grazie anche alle tue indicazioni, non saprei quale potrebbe essere una proposta giuridicamente coerente per esprimere questa richiesta di giustizia. Grazie ancora, ciao

  8. Riccardo Motti permalink*
    7 febbraio 2012 12:47

    Per quanto mi riguarda, sono d’accordo con l’autrice del post. Se da un lato c’è la richiesta, sacrosanta, di combattere i reati di natura sessuale, dall’altro c’è un sistema di potere che utilizza a suo favore questa tematica per ledere la libertà personale dei cittadini. Raid contro campi rom, militarizzazione dei centri storici, misure liberticide contro la persona: queste sono solo alcune delle misure che il potere assume, nominalmente per “difendere la popolazione”, in realtà per opprimerla. Come dice giustamente Ilaria, ci sono dati che dimostrano al di là di ogni ragionevole dubbio che un inasprimento della pena non ha come effetto una diminuzione del crimine che la prevede. In questo senso, non vedo niente di scandaloso nel fatto che un giudice possa decidere se, in attesa di giudizio, ci siano o meno le condizioni per il carcere preventivo (possibilità di fuga, reiterazione, inquinamento delle prove). Donatella, io capisco perfettamente il tuo sfogo, a volte il contesto sociale generale nel quale la donna viene oppressa viene utilizzato a fini apologetici nei confronti di questa stessa oppressione, creando un circolo vizioso. Tuttavia, non si può ignorare come, senza una battaglia di respiro ampio, che rifiuti il fatto che in nome di una fittizia “sicurezza” si compiano atti lesivi nei confronti della libertà personale, ogni emancipazione risulti in fin dei conti impossibile.

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